Statistiche

giovedì 17 aprile 2008

Un giorno fuori dal tempo

Ieri mi è arrivata la comunicazione dal comitato organizzatore del Premio di Narrativa di Montagna "Carlo Mauri" che la mia opera, ahimè, non è stata selezionata...

e vabbè, era comunque la prima volta che partecipavo ad un concorso letterario... e non sarà sicuramente l'ultimo..

La pagina del concorso: www.gamma-lecco.eu/cult_file/mauri2008.htm

Siccome ormai "sono fuori" posso pubblicare il racconto che avevo inviato su queste pagine...

Eccolo qui:

Un giorno fuori dal tempo



Solitudini autunnali nella valle di Cogne.
 



 


“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”
 


Marcel Proust


Sono di nuovo in questa valle. Risalgo la strada per Cogne, in questa fredda mattina di fine settembre. Arrivo su, finalmente, dai camini delle case esce il fumo, e mi immagino un buon odore di stufa a legna, parcheggio l’auto. Zaino in spalla, e parto nell’aria frizzante del mattino, attraverso i prati di S. Orso, ed ecco il sentiero per il Pousset. Il cielo si sgombra dalle ultime nubi, mentre il sole irrompe da est, scavalcando la Punta delle Sengie, ed inonda la valle, regalando colori e luci splendidamente autunnali, la neve dei giorni scorsi da già un assaggio di atmosfere invernali, respiro profondamente quest’aria fredda, e mi incammino.


Sono solo, in tutto il giorno la mia compagnia saranno i silenzi, i colori, gli odori del Parco del Gran Paradiso. Salgo per il famigliare sentiero, incontro presto i primi camosci nel bosco, appena oltre l’Alpe Robat. Poi i miei passi sono interrotti da uno scoiattolo che salta da un ramo all’altro dei grandi larici. Il profumo del bosco è forte, intorno a me. Ogni tanto il rumore di qualche ramo spezzato mi avverte della presenza di altri camosci. Il pensiero corre ad un mese e mezzo fa, l’ultima volta che ho percorso questo sentiero… mi estranio per un attimo con la mente, tornando a quei bei giorni estivi, ritorno alla realtà quando una volpacchiotta mi passa a poca distanza, mi vede, annusa, e si inoltra nuovamente tra gli alberi. Anche se sono stato su di qui molte volte, c’è sempre qualcosa di nuovo da vedere, qualcosa che le volte prima non avevo notato… una pianta, un larice, un cuscinetto di muschio, una roccia particolare…


Arrivo ai casolari di Les Ors, mi concedo una bella pausa al sole. L’aria è fredda, osservo un branco di almeno trenta camosci che pascola tra i prati ancora brinati, poco sotto le baite diroccate di Vermiana inferiore. Osservo a lungo la valle, percorro idealmente il vallone del Grauson, di fronte a me, e ogni angolo delle valli e delle creste che vedo. Riparto, a fianco dal sentiero ecco uno stambecco di 7-8 anni, solitario, mentre poco più in basso gli fa compagnia un camoscio. Raggiungo presto il bivio del Pousset: abbandono questo sentiero, e mi inoltro in zona a me sconosciuta, tanti anni che vengo in questa valle e mai sono andato nel vallone di Vermiana. Il vallone è completamente deserto. Nessuno davanti a me, nessuno che mi segue. Sono solo.


Solo si fa per dire… esseri umani non ve n’è in vista, ma la fauna delle Alpi sembra essere qui solo per me, oggi. Due giovani femmine di stambecco mi osservano da poca distanza coi loro piccoli, teneri e curiosi, con la dovuta paura dell’uomo, infatti più mi avvicino mentre cammino sul sentiero, e più loro salgono per il pendio e le rocce, voltandosi di tanto in tanto e lanciandomi i loro caratteristici gridi d’allarme. Nemmeno il tempo di riprendere i miei passi, e quasi mi spaventa uno stormo di pernici che prende il volo con un gran rumore. Non ho il tempo di fotografarle, rimarranno impresse nei miei occhi e nella mia mente. Istantanea mentale.


Salgo di quota, arrivo alle Alpi Vermiana superiore, a 2387 m, in rovina anch’esse. Da qui in poi il suolo è coperto di neve. Sono solo pochi centimetri, al massimo una spanna, ma è quella infida che nasconde i buchi tra le rocce e rende scivoloso il sentiero. Ben presto entro pure in una zona d’ombra, sotto la verticale parete nord del Monte Herban, alta e severa e fredda, striata di ghiaccio e repulsiva. Salgo con attenzione e rischiando qualche volta le caviglie, cercando di individuare la traccia al di sotto del manto nevoso. Mi fermo pochi minuti per indossare le ghette e presto mi assale la morsa del freddo, soprattutto alle mani. “I diavoli” li chiamava mio papà, mi sento implodere le mani, riprendo il cammino di gran lena, per uscire al sole, appena lo raggiungo il suo tepore mi scalda e mi rilassa.


Mi guardo intorno, sono a oltre 2500 m, solitudine totale.


Silenzio.


Percorro quello che sulla gloriosa cartina militare dell’IGM è chiamato il Pian Vario, completamente innevato sul lato nord, con solo più qualche chiazza di neve tra i pascoli bruciati dal gelo su quello sud. Cammino come sospeso sul filo di due stagioni. Alla mia destra c’è l’inverno, alla mia sinistra l’autunno. Il sole picchia sulla mia testa, dal colle della Rossa scende una gelida brezza che mi ricorda che la stagione fredda è ormai davvero alle porte. L’aquila volteggia sulla mia testa, poco oltre un camoscio corre in mezzo alla neve lanciando grida d’allarme alla mia vista. Sullo sfondo, dietro la mia meta, appare anche la Punta Rossa della Grivola, la sua cresta nord-est innevata. Mentre salgo mille pensieri si rincorrono nella mia mente, proseguo nel silenzio, ma son contento di essere quassù oggi, immerso totalmente nella natura, nella montagna, nel mio mondo.


Arrivo fino sulla soglia dei 2900 metri circa, poi abbandono il sentiero che porta al colle, e piego di centottanta gradi, volgendomi verso est, salendo per pendii erbosi, liberi da neve, ed arrivando sul dosso erboso e detritico che porta alla cima della Testa del Gavio. Erano diversi anni che osservavo questo cocuzzolo e questi valloni dal colle della Rossa e volevo venire qui in esplorazione. Oggi era la giornata giusta. L’aria si fa sempre più fredda, la brezza si tramuta in venticello gelido e fastidioso, arrivo finalmente sulla sommità della Testa del Gavio 3047 m, che divide i valloni del Pousset e di Vermiana, entrambi ai miei piedi. Il panorama, dal Monte Bianco all’Herbetet è grandioso, il vento fa turbinare la neve sulla parete nord della Roccia Viva e della Becca di Gay. Immagino di essere lassù tra i ghiacci, o in cresta sulla Tribolazione, o sul mio amato Grampa. Osservo a lungo ciò che mi circonda, rapito dalla bellezza e dalla solitudine del luogo.


Mi cerco un posto riparato per mangiare, in totale solitudine. Qualche velatura solca il cielo, il silenzio è sempre quasi irreale, quasi fastidioso. Penso che oggigiorno non si sa neanche più cosa sia il silenzio. A volte in montagna esso è talmente forte che da quasi fastidio. Ma è una sensazione che mi piace. Rifugiarsi in questi “sovrumani silenzi”, fa parte del mio vivere ormai. Il mio sguardo si posa sulla Punta Rossa della Grivola. Nello stesso istante, un mulinello di neve creato dal vento parte dalla vetta e percorre in discesa tutta la cresta. Penso ad un mese e mezzo fa quando ero lassù, e a chi ho accompagnato su quella cima una mattina di metà agosto. Mi volto verso est, e affido un saluto al vento, mentre le faville di neve si disperdono nell’azzurro cielo, ed un brivido d’emozione mi percorre dentro.


Il freddo mi spinge a scendere. Mentre lascio la vetta, un camoscio zoppicante arriva a sorpresa dal vallone di Vermiana, mi vede,  e dopo qualche esitazione, scappa, correndo in maniera scomposta, attraversando tutta la cresta, e sparendo sul versante opposto, sollevando neve ad ogni falcata. A malincuore mi incammino verso valle, decido di tentare la discesa nel vallone del Pousset. Non vedo sentieri, solo qualche rado ometto di pietre mezzo distrutto e qualche vecchia traccia si intuisce sotto la neve. Attraverso angoli davvero selvaggi, vallette pittoresche, scendo ancora, arrivo ad un pendio innevato che mi impegna un po’, più che altro perché la neve leggera e scivolosa nasconde insidiose rocce montonate, e mi sembra di camminare sulle uova.. rischio un paio di volte lo scivolone, che comunque non avrebbe avuto gravi conseguenze se non un bello spavento, e finalmente ritrovo una traccia. Che perdo nuovamente, non è facile con questa neve seguire la retta via… Volevo scendere direttamente sull’alpe del Pousset superiore, e sui bei pianori che la circondano, ma dopo qualche studio sul terreno che ho di fronte, non sono sicuro che si passi agevolmente più in basso. Per evitare di mettermi nei guai potendolo evitare, decido saggiamente di raggiungere una bella traccia che vedo sul versante opposto a quello dove sono io. Un traverso fastidioso ed impegnativo su neve tra le pietraie e i pascoli, cercando di seguire vecchie tracce, e finalmente raggiungo quel bel sentiero. Non c’è più neve ora, si cammina bene, e le mie caviglie possono ringraziare di essere uscite di là sane e salve.


Incontro un piccolo branco di giovani stambecchi curiosi, che mi studiano a lungo con aria interrogativa, come se non avessero mai visto un “essere” così strano, ed eccomi sul famigliare sentiero del Pousset. Mi giro verso il colle omonimo, lassù nascosto c’è il bivacco Gratton. Bei ricordi lassù.. lontani, e recenti, penso al mio papà, che sarà lassù da qualche parte, e magari mi sta guardando anche lui.. Scendo rapidamente, alle baite mi concedo una sosta, ho sete e bisogno di bere acqua fresca. Mi guardo intorno, non c’è nessuno nemmeno qui, e nemmeno sulla Punta Pousset. Mi sdraio sull’erba secca, chiudo gli occhi, il calore del sole e l’odore dell’erba mi avvolgono, mi assopisco cinque minuti, quasi cullato dal suono dell’acqua che scorre.


Mi sveglio quasi per caso, sono già le 15.30, e la strada per il fondovalle è ancora lunga. Decido di fare ancora una variante, voglio provare a scendere passando dall’alpe Pousset inferiore, e di lì ritornare a Les Ors. Non trovo subito il sentiero segnato, e scendo quindi per vecchie tracce, sentieri che collegavano gli alpeggi, sentieri abbandonati da molto tempo. Con qualche difficoltà, vedo finalmente là sotto nel pianoro il sentiero “ufficiale”. Lo raggiungo, scendo nel bosco, tralascio la diramazione per il casotto del Trajo, e arrivo finalmente alle caratteristiche baite in legno del Pousset inferiore. E’ un peccato che delle così belle costruzioni siano lasciate in rovina..lascio anche queste, e mi inoltro nuovamente nel bosco. Mi trovo davanti quasi a sorpresa, dietro un masso, una femmina di camoscio col suo cucciolo, com’è tenero, e com’è curioso. Il bel sentiero attraversa la montagna, e passando per angoli assai suggestivi, e scorci sulle Grand Jorasses, arrivo a Les Ors, ormai in ombra.


Mentre scendo, da dietro le baite scatta spaventato uno stambecco dalle corna enormi, avrà almeno 13 o 14 anni a contare gli anelli. E’ un vecchio maschio solitario, infatti non è molto propenso a farsi fotografare, quando assume un’aria poco promettente, lo lascio al suo pascolo, onde evitare spiacevoli discussioni, e proseguo la mia discesa. Osservo la luce radente sui pascoli, e noto la volpe che li attraversa, causando poco dopo la fuga del branco di camosci che stazionava lì dal mattino. Vedere 25-30 camosci che scattano e corrono tutti insieme, attraversando il valloncello, mi fa capire quanto amo questa natura, libera e selvaggia. Wilderness..


Riprendo il cammino, l’ultimo sole mi bacia tra i larici, lo saluto ed entro nell’ombra, e giù per il ripido sentiero. Ad un certo punto il mio sguardo si posa sulle orme sul terreno: ci sono solo le mie di stamattina, in salita. In tutto il giorno oggi nessuno è salito al Pousset oltre a me. Io ero l’unico essere umano in entrambi i valloni. Questa cosa mi emoziona, ho un brivido, tutto quel silenzio, quelle rocce, quella neve, quei colori, quegli odori, quella natura oggi era davvero tutta e solo per me. Grazie.


Sono felice e rigenerato, proseguo la mia discesa e nel tardo pomeriggio sono quasi al fondovalle, l’aria è fredda, l’ultima rampa, ecco i prati di S.Orso, ecco la “civiltà”, ecco la macchina. L’avventura è finita, il sole ha lasciato anche le case di Cogne ove la stufa già crepita e si sta ritirando su nel vallone del Grauson. Faccio un breve giro per il paese, poi lancio uno sguardo ad un raggio di sole che sfiora la vetta del Pousset, immagino ciò che ho visto oggi in quei valloni deserti, ripercorro in pochi secondi le sensazioni provate in questa giornata, penso a quanto amo questa valle, che se un giorno non avrò più la fortuna di avere così a portata di mano, comunque avrò sempre nel cuore, perché qui è cominciata la mia passione per l’andar per monti, qui è cominciato tutto.
 
Lancio un saluto ai silenzi di Vermiana e del Pousset, al freddo che arriva ed alla sera imminente, salgo in auto - clack -, chiudo la portiera, un pensiero ad est, e via verso valle, con la mente che già mi spinge verso casa.


 




E qui le immagini di quel giorno: www.roby4061.it/photobook/gavio.htm

Buona lettura, e buona visione..

3 commenti:

  1. Bello, e peccato!

    L'importante è non mollare, anzi!

    Salut!


    gp

    RispondiElimina
  2. complimenti.

    La visisione delle foto, poi, mi ha fatto partecipare ancora di più!

    Grazie!

    maria chiara

    RispondiElimina
  3. grazie.. per il resto peccato.. ci saranno altre occasioni..

    RispondiElimina