Statistiche

sabato 31 dicembre 2011

Sunrise

Anno nuovo, vita nuova. Per la prima volta in 33 anni, posso davvero dirlo.

Domani sarà l'alba di un nuovo ciclo.

 A risentirci nel 2012.

sabato 24 dicembre 2011

So this is Xmas...

E siamo di nuovo qui. Un altro anno è passato, un altro Natale è arrivato.

Sono qui vicino al camino acceso, con un bicchiere di Calvados che mi ricorda un'estate fa. Bei ricordi passati con una persona speciale che si mescolano coi consueti pensieri della Vigilia di Natale.

Un Natale che quest'anno ho sentito poco, per molte ragioni, per cambiamenti importanti nella mia vita, per varie cose che non sto a spiegare.

Ma alla sera del 24 a me viene sempre, sempre, sempre in mente una canzone... di John Lennon, poeta del XX secolo a modo suo. Visionario, forse. Ucciso da un pazzo a New York l'8 dicembre del 1980, quando io avevo due anni.

Ho sempre amato questa canzone ed il suo messaggio di Pace.

"War is over, if you want it". Sarebbe bello fosse sempre così. In realtà penso che ogni uomo sia sempre in guerra. In guerra per qualcosa.

C'è chi è in guerra, quella vera, sul serio, e soffre, e muore. C'è chi ci perde i propri cari. Ognuno di noi, in questo Mondo, forse, combatte la propria guerra.

Per poter mangiare.
Per tenere un lavoro, per cercarlo ed ottenerlo.
Per i propri diritti, a volte negati.
Per conquistare una posizione sociale, una persona, un amore.
Per vivere ogni giorno.
Per riuscire ad arrivare a fine mese.
Per sopravvivere.
Per ottenere giustizia.
Per i propri ideali.
Per cercare di dare un avvenire ai propri figli.
Per poter realizzare i propri sogni.


Io mi riconosco questa sera nell'ultima riga qui sopra.

E sono certo che impegnerò ogni briciola del mio coraggio, ogni goccia del mio sudore, ogni grammo della mia forza, per cercare di vincerla.

E così, con un Calvados in mano, ed un sogno nel Cuore, sicuro di avere una persona speciale al mio fianco, auguro a tutti voi un Sereno Natale. Ed un augurio di vincere la propria battaglia, qualsiasi essa sia.


mercoledì 14 dicembre 2011

messaggio promozionale

pubblicizzo qui un blog sperimentale... di pasticci in cucina... è appena all'inizio, ma speriamo di riuscire a farlo crescere nei prossimi tempi :)



http://leschatsgourmands.wordpress.com/

buona lettura e...........buon appetito :P

lunedì 12 dicembre 2011

La “prima”


Dopo un mese di assenza sono tornato a vagare per monti. 

Invitato da due cari amici, mi sono lasciato trascinare per la prima uscita con gli sci, in questo “inverno” che stenta a decollare, con poca neve sui monti, poco freddo sia in pianura che in quota, e con notizie sciistiche nel mare del web non certo entusiasmanti.

Una prima scialpinistica che ricalca la stessa meta di quella “prima” del 15 novembre 2008, prima gita di una lunga serie in un inverno spettacolare, con tanta, tanta neve come non se ne vedeva da decenni. Sono cambiate molte cose da quel giorno di tre anni fa. In questi tre anni è successo un po’ di tutto nella mia vita, e non solo. 

Ma quel che non cambia è la scelta della “prima”, e soprattutto i due amici coi quali condividerò la gita.

Ricordo l’innevamento di quel giorno, e guardandomi intorno oggi non posso non constatare che di neve ce n’è davvero poca qui in valle Orco, e la nostra salita e discesa alla Costiera dell’Uja si svolgerà su un manto che nulla ricorda quella splendida farina di novembre.

Ci destreggiamo tra sastrugi, placche da vento, neve dura vecchia e ondulata, tenendo le orecchie drittissime nel bosco per evitare sospetti accumuli. La parte alta della montagna è stata massacrata letteralmente da tre giorni di favonio, che han spazzato via la neve farinosa recente, e portato alla luce il manto nevoso caduto con le forti piogge di novembre, pressochè l’unica vera perturbazione degli ultimi 4-5 mesi. In cima ci siamo solo noi tre, a godere del sole tiepido dopo una salita interamente all’ombra ed al freddo. Cerco inutilmente, ancora una volta, di fare una foto, ma le batterie che ho ricaricato ieri sera, sono state “scaricate” dal freddo. 

Niente foto, quindi. Memorizzo tutto nei miei occhi e basta.

Una pausa per ritemprarci, poi si scende. Con molta calma, un po’ perché sono sette mesi che non scio, un po’ perché la neve è quella che è. Lamine buone, molto controllo, ma sfruttando le zone di neve vecchia, si riesce a fare qualche curva. Scendiamo sul fondo del vallone del Carro, di nuovo nel gelo e nell’ombra, trovando neve di tutti i tipi, meno quella bella farina sogno di ogni scialpinista. Ci accontentiamo, anche se arrivare sulla stradina battuta è tranquillizzante, nonostante l’effetto vibromassaggio assicurato fino a quando si tolgono gli sci.

I camosci, sicuramente più contenti di noi della scarsità di neve, brucano allegramente l’erba secca sul versante al sole della valle e ci osservano con un mix di curiosità, timore primordiale e, ne sono certo, compassione, per questi tre “folli” di ritorno da quel buio, freddo e deserto vallone.

Tre “folli”, ma pur sempre tre amici che più tardi si ritroveranno nella solita famigliare piola, chi di fronte ad una birra, chi di fronte ad un bicchiere di buon vino, a parlare di montagna, sci, gite passate e future, come ai vecchi tempi.

 A volte è bello riassaporare l’aria del mio piccolo mondo.


mercoledì 7 dicembre 2011

Nuovo corso

Ho pressochè completato la "migrazione" da Splinder su questa nuova piattaforma, per il nuovo corso del blog di Roby4061.

Non sono riuscito a recuperare proprio tutto l'archivio, per problemi tecnici legati alla formattazione del codice XML e per errori dati dai vari programmini che ho utilizzato..

Mancano alcuni posts del 2007 e del 2009, nonchè tutti i commenti (pochi, peraltro) del 2011.

Dopo essere "impazzito" per giorni, a più riprese, ho deciso di lasciare perdere. Con la chiusura di Splinder parte di quello che ho scritto in questi 5 anni si perderà nel nulla, ma in fondo è una minima parte, il 90% del vecchio blog è qui.

E' già attivo il redirect, quindi chi prova ad accedere al mio vecchio indirizzo su Splinder, approderà qui.
Questo è tutto, probabilmente effettuerò ancora qualche aggiustamento di grafica, ma fondamentalmente questo sarà l'aspetto del nuovo blog di Roby4061.

Benvenuti.

Il popolo migratore (Fonte: Wikipedia)

venerdì 25 novembre 2011

prove tecniche di trasmissione

in vista di trasferimento da piattaforma splinder, visto che abbiamo ricevuto questo simpatico annuncio..


Avviso per gli utenti

ATTENZIONE!
A partire dal 31 Gennaio 2012 il servizio Splinder verrà dismesso.
A breve verrà inviata una comunicazione con le indicazioni da seguire per recuperare tutti i contenuti dei blog ospitati. Sarà inoltre possibile attivare un redirect su un nuovo indirizzo web.

non è detto che riesca a trasferire tutto il contenuto di roby4061.splinder.it su questa nuova piattaforma, ma intanto ho registrato il nuovo indirizzo..

sto trasferendo quanto riesco...

mercoledì 2 novembre 2011

il mondo di "lassù"

"Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi...."

Questa frase ci sta a pennello quando ti trovi nel mondo di "lassù", una sera di fine ottobre, immersi nel silenzio più totale, osservando quelle centinaia, migliaia di luci che brulicano laggù, nell'altro mondo dal quale siamo fuggiti per qualche ora.

Così vicino eppur così lontano, da guardare con stupore e distacco, pensando che potresti essere là sotto anche tu, immerso nella foschia e nelle brume della pianura, ed invece siamo qua, ad osservare dall'alto ciò che forse qualcuno non può immaginare che esista.



Rifugio Fornetto, 2130 m, 31 ottobre 2011.


giovedì 13 ottobre 2011

Il ponte sulla Drina


Ho appena finito di leggere questo che è più famoso romanzo di Ivo Andrić, lo scrittore di origine serba, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1961, per la sua capacità di raccontare la sua terra.

Fonte: www.ariberti.itDi Andrić avevo già letto “I racconti di Sarajevo”, sull’onda emotiva del mio viaggio in Bosnia-Erzegovina dell’agosto 2010 e della mia “fame di sapere” su quel martoriato territorio balcanico.

Tra i molti libri che mi ero procurato, c’era anche questo, sapendo della sua fama. E’ un libro fondamentale per conoscere e capire la storia e la cultura della Bosnia-Erzegovina, paese crocevia di religioni e genti diverse.
A Sarajevo e Mostar mi colpì proprio la fusione di queste due culture, di questi due mondi, quello occidentale e cristiano, e quello orientale e musulmano, e del come vivessero – ora – in apparente armonia.

Come ben sappiamo, soprattutto a causa degli eventi degli anni 90, la cui memoria è ancora viva e le ferite sono ancora ben visibili, non è sempre stato così, ed anche leggendo “Il ponte sulla Drina”, si capisce quanto sia stata travagliata la storia di questo angolo di mondo.

Il romanzo ruota attorno al ponte sul fiume Drina ed alla città di Višegrad, che si trova nella parte orientale della Bosnia al confine con la Serbia. Il ponte fu costruito su iniziativa di Mehmed Paşa Sokolovič, un ragazzino rapito nel 1516 dei dintorni di Višegrad e portato a Istanbul, capitale dell’impero turco, dove, dopo anni di addestramento militare, vestì dapprima la divisa dei giannizzeri e divenne poi gran visir della Bosnia durante il regno di Solimano il magnifico (colui che, tra l’altro, fece costruire lo Stari Most, il famoso ponte vecchio di Mostar).
Fonte: giotto.ibs.it


Tramite una serie di racconti, personaggi caratteristici e aneddoti ambientati con l’onnipresente figura del ponte, Andrić descrive la storia di Višegrad e della Bosnia-Erzegovina, area da sempre al confine tra quei due mondi così vicini eppure così lontani e diversi.

A partire dal XVI secolo, dal dominio dei turchi, fino alle prese di coscienza nazionalistica dei Serbi, dall’occupazione dell’Impero Austro-Ungarico, alle guerre balcaniche di inizio novecento, fino al 1914, anno in cui si concludono il romanzo e la cronaca degli avvenimenti legati al ponte.

Quell’anno in cui, nella capitale bosniaca Sarajevo, lo studente serbo Gavrilo Princip assassinò l’Arciduca Ferdinando, erede al trono asburgico, e sua moglie. Fu l’inizio della Prima Guerra Mondiale, un singolo episodio in quella terra che si prese l’appellativo, forse non del tutto errato, di “polveriera dei Balcani”.

Fonte: wikipedia
E’ un romanzo storico e particolare, io l’ho trovato appassionante e trascinante, con diversi paragrafi e personaggi anche divertenti ed un finale “a sorpresa”. Un romanzo molto utile per comprendere la complessità di un territorio, quello dell’ex-Jugoslavia, da sempre crocevia di popoli, culture, tradizioni.

Quel ponte è ancora lì. Ha visto secoli e secoli di avvenimenti travagliati, guerre, bombardamenti, ma nonostante tutto era, è e rimane lì, a sorvegliare la Drina che continua, a volte impetuosa, a volte placida e tranquilla, a scorrere sotto le sue arcate, con il suo carico di storia.




« Le lunazioni si susseguivano e le generazioni sparivano rapidamente, ma il ponte restava, immutabile, come l’acqua che scorreva sotto le sue arcate. »

Ivo Andrić, “Il ponte sulla Drina”



Picture copyright: ©Velija Hasanbegović

mercoledì 12 ottobre 2011

30 gradi ha aprile

"trenta gradi ha aprile
con maggio, giugno, luglio, agosto, settembre e ottobre
"


(image by http://mike191280.wordpress.com/)


Liberamente ispirata alla celebre filastrocca sul numero di giorni dei mesi dell'anno che ci insegnavano da bambini...

Già, da bambini. Quando mai avremmo immaginato che un giorno, in questo angolo di mondo, si sarebbero registrati più di 30°C ad aprile o ottobre.

Il 2011 rimarrà un anno "funesto" quanto il terribile 2003. E' ancora presto per tirare somme sulla temperatura media annuale, ma ci sono dati che fanno e devono far riflettere.

A Torino e molte altre località del Piemonte, si sono superati i 30°C per sette mesi consecutivi, da aprile ad ottobre, e mai ciò era successo nell'intera serie di dati meteorologici a partire dal 1753, cioè da inizio serie.

In particolare aprile e ottobre sono stati davvero fuori da ogni umana concezione. A parte la flessione di giugno e luglio, possiamo dire che quest'estate è durata, e sta durando più di sette mesi.

E' vero, luglio è stato il più fresco degli ultimi 30 anni, ma è stato calpestato e dimenticato sotto i colpi di un aprile caldo, un agosto torrido (secondo solo al 2003), un settembre rovente (il più caldo di sempre) ed un ottobre che per la prima metà è stato allucinante dal punto di vista delle temperature, tolta una breve parentesi di un paio di giorni.

Senza contare che non cade una goccia di pioggia da quasi un mese, e ottobre, ad ora, è il più secco mai visto qui a Villanova Canavese.

Secondo me, di fronte ai fatti, alle memorie d'infanzia e di adolescenza, mi sembra ormai sotto gli occhi di tutti che qualcosa che c'è qualcosa che non funziona.

Fa sempre più caldo, punto.

Ed è sempre più difficile e forse inquietante domandarsi come sarà in futuro, se questa è e rimane la tendenza.



giovedì 6 ottobre 2011

Stay hungry. Stay foolish.

"Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario."



Non ho mai avuto un prodotto apple, ma questo non vuol dire molto. Penso che Steve Jobs fosse una persona particolare, oltre ad avere cambiato molte abitudini della gente di questo pianeta.

Ho visto e seguito attentamente questo discorso solo quest'estate, per puro caso.

Ma ha "lasciato il segno" in me. E forse mi sta aiutando nelle scelte che sto facendo in questo periodo della mia vita. Quelle due frasi finali mi sono entrati in testa e non ne escono più. E mi stanno accompagnando ora.


Stay hungry. Stay foolish.


ciao Steve.

lunedì 26 settembre 2011

Pillola rossa o pillola azzurra?

È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

è di nuovo ora di fare una scelta...

mercoledì 14 settembre 2011

Ciao Walter...


"La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo. Se praticata in un certo modo è una scuola inclubbiamente dura, a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano. Se io dunque traspongo questi principi nel mondo degli uomimi, mi troverò immediatamente considerato un fesso e comunque verrò punito, perchè non ho dato gomitate ma le ho soltanto ricevute. E' davvero difficile conciliare queste diversità. Da qui l'importanza di fortificare l'animo, di scegliere che cosa si vuole essere. E, una volta scelta una direzione, di essere talmente forti da non soccombere alla tentazione di imboccare l'altra. Naturalmente il prezzo da pagare per rimanere fedele a questo ordine che ci si è dati è altissimo."









Addio Walter, ora sei sulla vetta della montagna più alta....

 

lunedì 18 luglio 2011

Uja di Ciamarella 3676 m, per la cresta Est dal vallone di Sea





Ci sono quelle salite che prima ti affascinano, poi sogni, poi insegui ed alla fine realizzi. 15 anni fa cominciavo a camminare per i sentieri delle mie valli, e rimasi subito affascinato dalla cresta est della Ciamarella, la più alta vetta delle valli di Lanzo, coi suoi 3676 m, e sognai che forse un giorno avrei salito quella cresta.
 
Salii l’Uja nel settembre 1998 per la via normale, in una splendida giornata di forte vento gelido. Poi passarono gli anni, ed un po’ di esperienza in più ha cominciato a spingermi a sognare seriamente quella salita.. lo scorso anno eravamo pronti per farla, ma il caldo atroce di inizio luglio ci fece desistere. Quest’anno l’abbiamo presa “per la coda”, fidandoci ciecamente delle previsioni e della finestra di bel tempo prevista per la domenica mattina.
 
Siamo solo in due, io e l’amico Beppe, a partire da Forno Alpi Graie 1219 m, imboccando la stradina ed il sentiero per il Vallone di Sea. E’ qualche anno che non torno qui, ma è sempre magico, ed ora ci sono cartelli e segnali che ricordano la storia alpinistica del vallone. Il Nuovo Mattino è nato tra qui e la contigua valle dell’Orco. Gli spiriti di Grassi e Motti ci osservano ancora da queste pareti.
 
Su un masso, detto “il libro” c’è la firma di Gian Carlo Grassi e di altri alpinisti che hanno aperto vie sulle lisce pareti di Sea.
 
Percorriamo tutto il vallone, il clima è assai afoso, e la fatica si fa sentire. Superiamo il Gias Balma Massiet, e poi l’Alpe di Sea. Il ginocchio mi da assai fastidio, non ha ancora smaltito la Levanna Orientale della domenica precedente. Piccola sosta, poi saliamo al Piano di Sea, solitario e poetico. Non c’è nessuno in giro. Oltre il piano non salgo da dieci anni.. si sale ripidi sulle “scale di Napoleone”, questo ultimo tratto ci spezza le gambe, arriviamo al bivacco Soardi-Fassero un po’ stanchi, ma abbiamo evitato la temuta pioggia. Siamo in parte avvolti dalla nebbia, ma dentro al ricovero si sta benissimo.
 
Tempo di cambiarci e riprenderci, e ci prepariamo una bella polentina concia per pranzo, poi, visto che domani ci dovremo alzare prestissimo, ne approfittiamo per un paio di ore di sonno, nella pace di quassù.
 
Le “speranze” di Beppe vengono esaudite, e veniamo svegliati dall’arrivo di due fanciulle (!!!). Sono due escursioniste, ci faranno compagnia al bivacco. Viene presto ora di cena, diamo fondo a buona parte delle provviste. Nel mentre fuori si incupisce, si mette a piovere. Dopo cena arriva dalla Francia un furioso temporale, che scarica un bel po’ di acqua, grandine e fulmini che rimbombano per tutta la montagna. E’ sempre bello godersi un temporale in montagna al riparo come questa sera…Dura un bel po’, poi si allontana martoriando la valle e sfociando in pianura.
 
Qui l’aria si fa più limpida, il profilo dell’Uja di Mondrone fa da cornice ai continui lampi e fulmini verso est. Viene ora di ritirarsi in branda, domani ci si alza alle 3.  La notte scorre tranquilla, dormo bene, e quando mi sveglio sono abbastanza riposato.
 
Esco fuori, è stellatissimo, ottimo. Facciamo colazione in silenzio, poi, alle 3.45 lasciamo il bivacco. Il sentiero non è evidente, ci sono pochi ometti, ed alla sola luce delle frontali facciamo un po’ fatica a tenere la traccia giusta. Perdiamo una ventina di minuti ravanando al buio, e sono consapevole che è bene non sbagliare traccia, perché qui siamo su delle balze rocciose. L’erba è bagnata ed una scivolata potrebbe essere fatale. In ogni caso, con pazienza ed intuito riusciamo a trovare e mantenere il sentiero. Percorriamo tutto il vallone, lasciano a sinistra il caratteristico masso erratico (ottimo punto di riferimento), poi siamo sul primo nevaio, a quota 2400. Lo superiamo direttamente, poi la traccia prosegue su terreno morenico mentre la Stura di Sea fa un rumore impressionante a pochi metri.
 
Il secondo, grande nevaio, lo superiamo sulla destra, per una ripida rampa di terriccio cedevole e detriti. Un passo avanti e due indietro, usciamo allo sbocco del vallone glaciale abbastanza stanchi. E qui rimango sorpreso. La fronte del ghiacciaio di Sea non è più qui, e non si vede nemmeno dove possa essere. Ma quello che mi impressiona è il ritiro della seraccata del ghiacciaio Tonini. Me la ricordavo rigogliosa, possente, scendere con una cascata di seracchi sul sottostante ghiacciaio di Sea. Ora al suo posto c’è una parete di rocce lisce, e i seracchi sono in alto, sospesi su di essa. E’ incredibile come sia cambiata la montagna negli ultimi dieci anni.. sigh.
 
Nel frattempo schiarisce, spegniamo le frontali. Aggiriamo una fascia di rocce montonate, ed è chiaro il percorso che dovremo fare, nel valloncello detritico e nevoso che ci porterà al ghiacciaio dell’Albaron di Sea. Sembra ben innevato (per fortuna, altrimenti sarebbe una distesa di pietre immonde), e quindi mettiamo i ramponi.
 
C’è un discreto rigelo, ma non sempre sufficiente a tenere il nostro peso, per cui la marcia comincia ad essere faticosa. E sarà solo l’inizio…Ci alterniamo a battere la traccia, studiando la via migliore tra i vari raccordi di neve. Lasciata alla nostra sinistra la gobba detritica quotata 2980 m, siamo quasi al bordo del ghiacciaio dell’Albaron. Per un altro nevaio, con un ultimo tratto ripido e ricoperto di grandine gelata, usciamo sulla calotta superiore del ghiacciaio, al sole. L’ambiente è solitario e grandioso, immenso, e ci siamo solo noi. La marcia è sempre più faticosa, quando la neve sembra tenere, sfonda.. lo strato di grandine del temporale di ieri sera è rigelato, ma non ha permesso un buon rigelo della neve sottostante. Ci portiamo sulla calotta dell’Albaron di Sea, e puntiamo alla “clessidra”, il canalino nevoso che raccorda il ghiacciaio con il “pan di zucchero” e la parte finale della cresta est della Ciamarella.
 
In realtà la “clessidra” non è più nevosa come una settimana fa, ed è impraticabile. Saliamo per il pendio di neve sempre più ripido (40°), sprofondando ad ogni passo, fino alla fascia rocciosa. Superiamo questa sulla destra, per sfasciumi faticosi ed instabili, ma abbastanza agevoli, fino ad uscire alla base del “pan di zucchero” , il caratteristico pendio di neve e ghiaccio a 40-45° che culmina sull’anticima della nostra montagna.
 
Ci leghiamo, e passo avanti io per far riposare il socio. La musica non cambia, questa neve balorda sfonda quasi ad ogni passo, e questi 150 m sono estenuanti. Salgo per la massima pendenza fino a quando non trovo ghiaccio vivo sotto lo strato di grandine e mi sposto a sinistra, andando in traverso ascendente fin quando la pendenza diminuisce. Quasi alla sommità sono esausto anche per il male al ginocchio, e ci ricambiamo al comando della cordata.
 
A Beppe l’onore di fare gli ultimi metri ed uscire sulla cima del “pan di zucchero”. Di fronte a noi la parte finale della cresta, bellissima. Pochi metri di cresta nevosa e siamo sull’anticima della Ciamarella, quota 3637 m. Si scende leggermente, e poi c’è una fascia di roccette esposte da superare. Alla nostra sinistra 1800 m più in basso c’è il Pian della Mussa, alla destra il pendio nevoso si inabissa sulla parete nord. Il passaggio è meno ostico del previsto. Con un’assicurazione “volante” su uno spuntone Beppe supera il passaggino, poi è il mio turno, traversino con i piedi sulla neve sull’orlo della nord, ma per le mani ci sono belle fessure per tirarsi su, ed in breve siamo fuori.
 
Ora, di fronte a noi, l’ultima parte di cresta, la più bella, sinuosa ed elegante, a fil di cielo. E’ quella che sognavo di percorrere da anni, ed infatti mentre salgo mi vien la pelle d’oca dall’emozione. La neve qui è bella portante, ma bisogna guardare bene dove si mettono i piedi, visto che il fianco destro precipita lungo la parete nord. Non ci sono cornici sul lato sud, e questo rende meno complicate le cose. Siamo stanchi ma felici quando raggiungiamo il punto in cui la cresta est si fonde con la via normale. Ormai la vetta è lì. Pochi metri e ci siamo, siamo arrivati. Dopo 13 anni sono di nuovo quassù, ma salendo per la via più bella che c’è a questa montagna. Ci stringiamo la mano, è stata faticosa, ma ce l’abbiamo fatta.  Le condizioni della neve ci hanno fatto impiegare più tempo del previsto, 5 ore e mezza dal bivacco. Ci concediamo una pausa di 40 minuti in vetta, anche se intorno a noi stanno montando le classiche nebbie delle valli di Lanzo. Scrivo ad una persona laggiù, che aspetta mie notizie, giusto un pensiero per chi, in ogni caso, è come se fosse salito quassù insieme a me.
 
Il panorama è un po’ limitato dalle nebbie, ma comunque bellissimo, ed a perdita d’occhio. Poi decidiamo che è meglio scendere, anche perché le cordate che avevamo visto in salita sul ghiacciaio della normale erano molto lontane ancora. La nebbia però ci gioca un brutto scherzo, la nevicata di ieri sera dopo la grandine fa il resto, avendo livellato completamente le tracce. Pensando di scendere la via normale, facciamo un errore seguendo un canale nevoso, assai ripido, che si raccorda più in basso con il “traversone” della normale. Non è difficile, ma le condizioni della neve e la stanchezza impongono una discesa faccia a monte che ci impegna un po’.
 
Scendiamo comunque puntando ad un tipo che sembra in difficoltà, sta effettuando un traverso a velocità ridotta, tornando indietro. Anche le cordate sul ghiacciaio hanno preso la via del ritorno, rinunciando alla vetta. Usciamo sotto le nebbie, e la pendenza diminuisce quando intercettiamo le tracce del tizio, e lo raggiungiamo.
 
E’ un po’ scosso e ci racconta del suo socio che è scivolato, ruzzolando su questo terreno delicato (sfasciumi cementati da grandine, neve e ghiaccio) per un centinaio di metri buoni, fermandosi prima del salto di rocce che piomba sul ghiacciaio. Questo è poi sceso con le sue gambe fino al ghiacciaio, dove è assistito da alcuni istruttori del CAI Saluzzo, quelli della gita sociale che avevamo visto dall’alto. Il suo compagno è un po’ in crisi, e scende con noi, seguendo le nostre orme. Il terreno si fa più facile, ora finalmente riconosco la via normale, ma guardando indietro non si vede niente, il pendio di sfasciumi è un unico pendio nevoso assai ripido. Comunque, in ogni caso, siamo fuori dai casini.

Scendiamo per la buona traccia fino sul ghiacciaio, e poi ci dirigiamo dal ferito, che è già stato bendato dagli altri alpinisti. E’ malconcio, con un braccio fuori uso e pieno di escoriazioni e lividi, ma può ringraziare il Padre Eterno, visto che è caduto rotolando senza casco per più di un centinaio di metri su quel terreno..han già chiamato l’elicottero, ma non si sa se riuscirà a salire, viste le nebbie che vanno e vengono. Se non salirà, dovremo scendere a piedi accompagnando il ferito.
 
Ma poi arriva l’elicottero, fa un primo giro passando alto, poi con una schiarita ritorna, fa un volo radente alla cresta della Ciamarella. Facciamo i segnali di chiamata, ma sparisce sul versante francese.. un attimo di sconforto, ma probabilmente doveva solo studiare la corrente, perché ritorna subito e si dirige verso di noi.
 
Non ero mai stato così vicino ad un elicottero del Soccorso Alpino, e beh, di aria ne fa girare parecchia… l’intervento è rapidissimo, scende il tecnico, aggancia sé stesso ed il ferito al verricello, e l’elicottero si rialza in volo, sparendo oltre le nuvole.
 
Ed ora non ci resta che scendere… il sole va e viene, quando si infila tra le nebbie, c’è da morire di caldo. Appena riparto il ginocchio destro comincia a farmi male.. ed il dolore mi accompagnerà fino al Pian della Mussa. Scendiamo il ghiacciaio, ormai la neve è molle, abbiamo perso parecchio tempo anche in discesa, ma per una buona causa, direi.
 
A quota 3100 finisce il ghiacciaio, ci sleghiamo e togliamo ramponi e piccozza, e lo zaino torna ad essere pesantuccio. La traccia scende sulle morene, io devo fare i passi al rallentatore, perché ho male ogni volta che carico il ginocchio. Lentamente raggiungiamo il Pian Gias, e poi il bivio dove troviamo il resto della gita sociale in attesa di quelli che si sono fermati ad assistere il ferito (che comunque non faceva parte della loro comitiva).
 
Si scende tutti insieme, il paesaggio cambia, le pietre e le ghiaie lasciano spazio ai pascoli ed al verde. In breve (si fa per dire) arriviamo al Gias della Naressa, e quindi sul classico sentiero del Gastaldi, dove ci sorprende la pioggia. Il classico rovescio pomeridiano estivo delle valli di Lanzo.
 
Lascio che la pioggia mi cada addosso, non è fastidiosa e mi rinfresca. La stanchezza si fa sentire, il sentiero è scivoloso, sono dolorante e non posso ancora permettermi di rilassarmi. Ecco il Pian dei Morti, ecco il canale delle Capre, ecco il termine della discesa e Rocca Venoni. Attraverso la Stura ed arrivo anche io al parcheggio di Pian della Mussa, 10 minuti buoni dopo Beppe. La traversata è finita, siamo arrivati.
 
Tra le persone conosciute al pian Gias troviamo un passaggio in auto fino a Ceres, dove abbiamo lasciato un’auto. Scendiamo subito, per poi risalire a Forno Alpi Graie a recuperare la mia, di auto. Il socio deve scappare, quindi niente sosta in piola.. scenderò fino a casa, dove finalmente potrò bermi una birra e mangiare un bel panino caldo, visto che oggi abbiamo saltato pranzo e sono andato avanti solo con qualche pezzettino di grana..
 
Sono stanco, dolorante, ma felice. Ho realizzato un sogno che inseguivo da anni, ora quando guarderò quella cresta dalla pianura la guarderò con uno sguardo diverso, e probabilmente con un filo di emozione. E’ bello quando realizzi dei sogni che hai cullato per così tanto tempo. E’ stato un vero e proprio viaggio, dai 1200 m di Forno Alpi Graie ai quasi 3700 della vetta, partendo dal caldo fondovalle dei boschi, e salendo per il solitario vallone di Sea fino al regno dei ghiacci e delle rocce, fino a quella sinuosa cresta di neve a cavallo del cielo. E poi ancora la lunga discesa sull’altro lato della montagna, ritornando nuovamente ai pascoli del pian della Mussa.
 
Già, un vero e proprio viaggio. Indimenticabile. Nel bene e nel male, emozionante ed indimenticabile, sulle mie montagne, su quelle montagne che mi guardano dall’alto da più di trent’anni.

Le foto sul sito:
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2011/ciamarella.htm

martedì 12 luglio 2011

Agonia del ghiacciaio Tonini

Domenica mattina, salendo alla cresta est della Ciamarella, una volta arrivato dove mi ricordavo ci fosse la fronte del Ghiacciaio di Sea, sono rimasto spiazzato.

La neve residua un po' ingannava, ma lì dove c'era la fronte nel 1998, ora non c'era più niente. Non sono riuscito a capire fino dove si è arretrato anche solo dal 2001, dall'ultima volta che ero stato qui.

Ma, nonostante la luce ancora bassa (erano le 5) e il sonno, non riuscivo a riconoscere la seraccata del ghiacciaio Tonini. La più bella, turgida ed in salute delle valli di Lanzo. Ho delle foto del 1998 che lo mostrano rigoglioso, con la cascata di seracchi che scende sul ghiacciaio di Sea.

Ieri sera, spinto dalla curiosità, vado a rovistare tra le mie vecchie foto di montagna. E ne trovo una che mi provoca un groppo in gola. Scattata nello stesso punto (anzi, qui si vede anche la fronte del ghiacciaio di Sea), mostra una seraccata del Tonini che scendeva ancora bella possente.

Il confronto è impietoso e drammatico.



E' incredibile, tragico ed assurdo come in poco più di dieci anni stiano cambiando le montagne. I ghiacciai se ne stanno andando a velocità impressionante.

E magari c'è ancora chi dice che il riscaldamento globale, l'aumento termico e il ritiro dei ghiacciai sono delle balle.

Possiamo discutere sulle cause, uomo o non uomo. Ma questa foto dimostra, senza ombra di dubbio, come sulle alpi si stia consumando un disastro a velocità impressionante.

I nostri ghiacciai stanno morendo. Da quando ho cominciato ad andare in montagna, la situazione in alta montagna peggiora di anno in anno.

E non credo che nei prossimi anni possa migliorare....

domenica 10 luglio 2011

15 anni fa un diciottenne magrolino muoveva i suoi primi passi in montagna nelle valli di Lanzo.. e rimase affascinato dalla Ciamarella, e dalla sua nevosa cresta est.

Sognava, un giorno, di salire quella cresta. Oggi quel sogno si è avverato.




"tra il cielo e la terra"

Uia di Ciamarella 3676 m, cresta est

mercoledì 6 luglio 2011

"L'alpinista è un uomo che conduce il proprio corpo là dove un giorno i suoi occhi hanno guardato.
E che ritorna."


Gaston Rèbuffat

venerdì 1 luglio 2011

30° anniversario dell'uccisione di Padre Tullio Maruzzo


Mio zio non l'ho mai conosciuto, essendo stato ucciso nel 1981.... ma da quanto ho letto e mi è stato raccontato da papà e dagli zii, mi sarebbe piaciuto, doveva essere una persona straordinaria.

riporto qui la storia (un po' lunga..) tratta dal sito dei Frati Francescani Minori del veneto.






Il 23 luglio 1929, in una famiglia di poveri contadini di Lapio (Arcugnano, Vicenza), nascevano due gemelli: Marcello e Daniele, figli di Angelo Maruzzo e di Augusta Rappo.
Marcello frequentò la scuola elementare del suo paese dove ebbe i primi segni della sua vocazione francescana. Il 9 ottobre, assieme al fratello gemello Daniele, entrò nel collegio serafico di Chiampo. Dopo aver finito il ginnasio, vestì il saio francescano dando così inizio all’anno di noviziato, nell’isola di S. Francesco del Deserto (Burano, Venezia) il 16 agosto 1945; Marcello prese il nome di Tullio e suo fratello gemello quello di Lucio. Il 17 agosto 1946 emetteva la prima professione dei voti di povertà, obbedienza e castità. Proseguì poi i suoi studi di liceo e di teologia. Il 15 luglio 1951, nel santuario di S. Antonio in Gemona del Friuli, emise la professione solenne e il 21 giugno 1953 fu ordinato sacerdote dal cardinale patriarca di Venezia, il B. Angelo Roncalli (poi Giovanni XXIII) nella basilica della Madonna della Salute.
Dopo l’ordinazione sacerdotale fu destinato come assistente nell’orfanotrofio di S. Nicolò del Lido in Venezia, vi rimase per sette anni, stimato da tutti per la sua mitezza e pazienza.







Il fratello gemello p. Lucio, subito dopo l’ordinazione sacerdotale, era partito come missionario francescano in Guatemala (Centro America). P. Tullio maturò la sua vocazione missionaria e decise di chiedere i permessi ai suoi superiori per partire anche lui. Il 16 dicembre 1960 prese l’aereo e fu destinato quasi subito dopo il suo arrivo alla parrocchia di Cristo Re, in Puerto Barrios, capoluogo del departamento (parola utilizzata in quella zona per denominare una provincia civile) d’Izabal, Terra di emigrazione che bisognava strappare la terra da coltivare alla foresta tropicale, bisognava impiantare tutto per sviluppare una chiesa nascente formata da gente che proveniva dai diversi punti della repubblica centroamericana. Fu cappellano della grande parrocchia centrale, incaricato della catechesi nelle scuole pubbliche e dell’assistenza agli ammalati nell’ospedale. In questa parrocchia ebbe il suo primo incontro con i Cursillos de Cristiandad, ai quali rimase legato fino alla morte. Il 26 gennaio 1963 s’istituì la parrocchia di Fatima in Entrarios-Abacà, p. Tullio fu nominato primo parroco. La popolazione affaticava ad amalgamarsi, più ancora: l’assenza quasi assoluta del potere dello Stato portava a risolvere le questioni sorte tra le persone e le famiglie per conto proprio ricorrendo facilmente alla violenza; la vendetta, l’omicidio, il furto e la disgregazione dei nuclei familiari erano frequenti. Per guadagnarsi il pane quotidiano p. Tullio organizzò un piccolo e rudimentale cinema parrocchiale. Il 28 febbraio 1968 venne istituita la nuova parrocchia di S. Giuseppe in Morales e affidata a p. Tullio. Si dovette partire dal nulla, costruire la casa parrocchiale, la chiesa e un centro per la formazione dei catechisti. La parrocchia era molto più vasta di quella di Entrerios-Abacà; il nuovo amministratore apostolico, mons. Gerardo Flores, puntò sulla formazione dei catechisti denominati in quella zona Delegados de la Palabra. P. Tullio si dedicò in pieno in questo lavoro pastorale coadiuvato da quattro suore canadesi. Negli anni sessanta e settanta la zona d’Izabal era poco popolata, dominata da foresta tropicale; fece nascere la cupidigia di non poche persone in cerca di terra d’appropriarsi. La legge dello Stato diceva che se un terreno senza proprietario veniva occupato da una persona, dopo 12 anni ininterrotti, la proprietà passava all’occupante. La maggior parte dei contadini emigranti erano analfabeti che non conoscevano né le leggi né i loro diritti. La parrocchia di Morales, esposta a continue emigrazioni, vedeva con facilità sorgevano nuovi villaggi , piccoli, sparsi in mezzo alla foresta, molto distanti uno dall’altro. P. Tullio visitava tutti i villaggi una, due, e anche tre volte all’anno, usando mezzi di fortuna: a piedi, a cavallo soprattutto, qualche volta anche la barca. Pochi erano raggiungibili con il mezzo motorizzato. Bisognava preparare un buon gruppo di catechisti per ogni villaggio, capaci di lavorassero insieme, per questo occorreva organizzare corsi di alfabetizzazione, di formazione umana e religiosa, che permettesse ai catechisti migliorare la loro povertà e insegnare agli altri nelle loro comunità.


La situazione


Persone senza scrupoli, specie ligie all’esercito e al governo di turno, misero gli occhi sulle terre già bonificate ma che gli occupanti non si erano preoccupati affatto della legalizzazione della loro proprietà; si facevano dare i documenti dal governo centrale presentandosi ai contadini come i legittimi proprietari di quelle terre obbligandoli a una scelta: partire alla ricerca di nuove terre oppure passare alla loro dipendenza. In caso di opposizione o di rifiuto si faceva intervenire l’esercito per l’attuazione del decreto. Durante la visita ai villaggi, p. Tullio portava ai contadini i beni che la Caritas gli concedeva affidandoli ai catechisti per la distribuzione. P. Tullio si guadagnò subito la stima e la simpatia della povera gente del luogo a causa della sua premura apostolica, il carattere mite e pronto all’accoglienza, lo spirito di sacrificio e la carità. Puerto Barrios è l’unico porto sul mare dei Caraibi della repubblica di Guatemala, unito alla città omonima della capitale da una strada asfaltata e da una ferrovia. I gruppi dell’estrema sinistra si organizzarono in guerriglia in quelle zone, rifugiandosi nelle montagne e svolgendo azioni di disturbo al traffico di quelle uniche vie di comunicazione con il porto; buona parte del commercio con gli Stati Uniti e con l’Europa passava per Puerto Barrios. Il governo rispose organizzando i gruppi paramilitari detti comisionados, formato da ex militari che spesso risultavano essere persone senza scrupoli. Molti di questi vollero approfittare della loro posizione per appropriarsi indebitamente delle terre già bonificate che, in caso di rifiuto da parte del contadino, veniva accusato di “comunismo”, e quindi ucciso (Per attuare le loro decisioni i Comisionados si organizzavano in squadroni della morte).




Le cause del martirio



 

P. Tullio sapeva molto bene che non era possibile affrontare quelle persone, bisognava trovare una via efficace per difendere i contadini: istruirli sui loro diritti e suggerire loro di organizzarsi per procedere alla legalizzazione del possesso delle loro terre; a questo scopo fece intervenire la Caritas che prestasse i suoi servizi con avvocati di fiducia. La cosa non piacque ai paramilitari che iniziarono a prendere di mira l’attività apostolica di p. Tullio; ricorsero alle minacce, alle calunnie e ad ostacolare l’attività del centro formativo per i catechisti. Si diceva che p. Tullio aveva buoni rapporti con i guerriglieri, che forniva loro generi alimentari e medicinali, ma in realtà erano quelli che la Caritas affidava a lui per distribuirli ai contadini durante le sue visite ai villaggi; si disse perfino che era “comunista” e “guerrigliero”. P. Tullio non prese neppure minimamente in considerazione le accuse calunniose. I paramilitari arrivarono ad organizzare un attentato contro la parrocchia, fecero esplodere una bomba intimidatoria davanti alla canonica e un’altra davanti al centro catechistico curato dalle suore canadesi. I superiori pensarono a cambiarlo di parrocchia. P. Tullio fu trasferito a Quiriguà, una località a 50 km di distanza da Morales, sempre in Izabal. Le minacce lo raggiunsero anche là. Questa parrocchia era più vasta di Morales perciò godeva della compagnia di un altro sacerdote anche se anziano: p. Paolino Cristofari ofm, già sua assistente quando era fratino a Chiampo. Due fatti fecero “traboccare il vaso”. In un villaggio si reclutavano i giovani per il servizio militare. Il sistema utilizzato era che i soldati dell’esercito arrivati improvvisamente nella località, correvano dietro a un giovane trovato nella via pubblica fino a prenderlo e legarlo, obbligando il mal capitato così al servizio militare. Secondo la legge dello Stato non si poteva prelevare una persona dall’interno di una casa, ma un soldato era entrato dentro di un’abitazione per prelevare un giovane che si era rifugiato, provocando la reazione dei catechisti e di altre persone che facevano presente l’illegalità dell’azione. Chi aveva istruito i contadini sui loro diritti a modo di ostacolare l’azione dell’esercito? Il rapporto dell’ufficiale dell’esercito che guidava la spedizione in quel villaggio non fu per niente tenero contro il parroco e il centro di formazione dei catechisti; in Quiriguà il centro era curato da suore nordamericane. Il secondo fatto fu un’azione di esproprio: 60 famiglie erano spogliate di tutto. P. Tullio, p. Paolino e i capifamiglia scrissero una lettera rispettosa al Presidente della repubblica, chiedendo il suo interessamento per risolvere in forma giusta la situazione. Non pochi dei contadini firmatari avevano messo la croce perché analfabeti. Questi due fatti fecero sì che le alte autorità militari prendessero la decisione di uccidere p. Tullio, considerato un elemento scomodo per i loro interessi personali.


 


Il martirio



 

Dopo una faticosa giornata trascorsa tra i villaggi delle montagne, il 1° di luglio 1981, dopo aver cenato di corsa, p. Tullio si recò all’ultreya (parola utilizzata dai membri dei Cursillos di Cristiandad per denominare le loro riunioni settimanali)di Los Amates ; finita la riunione decise di accompagnare due cursillistas a la loro casa, distante una diecina di chilometri dal centro, erano passate le 9:00 di sera. Luis Obdulio Arroyo era un giovane terziario francescano, cursillista e catechista che non si separava dal padre, in questo caso aveva deciso di fare l’autista del mezzo utilizzato. Di ritorno, superati due chilometri dalle rovine dei Mayas che dà il nome alla località, i paramilitari avevano preparato un’imboscata: dopo aver fermato il mezzo, fecero scendere p. Tullio e Luis Obdulio e li crivellarono sul posto. P. Tullio e il suo catechista, per essere fedeli al loro ministero apostolico sacerdotale e alla dottrina sociale della Chiesa, cadevano vittime dell’ingiustizia e per difendere i poveri contadini. P. Tullio venne subito riconosciuto dai suoi parrocchiani come ‘martire’ e ‘santo’ e tale è venerato dalla gente fino ad oggi. Il ricordo e la preghiera è sommessa, dato il pericolo rappresentato dagli assassini ancora liberi e protetti dalle autorità militari.

martedì 21 giugno 2011

Solitudini d'estate alla Cima Giardonera


Una giornata da cartolina nelle valli di Lanzo, di quelle assai rare in estate… era da tempo che miravo a questa cima, e quando parto alle 7.20 dal parcheggio di Vonzo, sono determinato a raggiungere la vetta.
 
Arrivo ai Chiappili, da qui il sentierino non sempre evidente, si alza ripido tra i prati, per poi entrare nel bosco ed uscirne sulla strada che porta nel Vallone di Vassola. Il segnavia per il colle della Forca non si vede perché è nascosto dalle piante.. è ora di sfoderare la roncola.. Faccio pulizia, e mentre salgo per il sentiero non sempre evidente, continuo a tagliare rami e arbusti, rendendo il percorso più agevole.
 
Ero salito di qui 12 anni fa e non ricordavo questa giungla.. è un peccato, perché questa zona meriterebbe essere più frequentata.
 
Quando arrivo sul Testarebbo, curioso testone roccioso, sono stanco, salire sfrondando rami mi ha un po’ sfiancato. Mi riposo, guardo la luna che si adagia sulla Leitosa, e riparto. Proseguo per la dorsale, cercando qua e là vecchi segni sbiaditi. Integro gli ometti esistenti, il sentiero ora prosegue a mezzacosta molto evidente, attraverso un pascolo dove parecchie vacche mi guardano incuriosite. Raggiungo l’Alpe Cialma, posta come un balcone sulla val Grande.
 
Il sentiero è sempre più evidente, raggiungo l’alpe Gias di Lee. Non c’è nessuno in giro. Oltre i 2100 m di quota fa la sua comparsa il ghiaccio.. in effetti l’aria oggi è fredda.
 
Costeggio il laghetto che da il nome all’alpeggio, intercettando un vecchio sentiero. Mentre salgo costruisco ometti di pietra, il cammino si fa più faticoso. Tocco alcune vecchie baite, a tratti il sentiero è addirittura lastricato, testimonianza dell’importanza di questo valico tanti anni fa. Soltanto negli ultimi metri, la traccia si perde in una caotica pietraia, ma poi raggiungo il colle di Nora 2527 m, sovrastato da uno splendido monolite di gneiss.
 
La vetta è a portata di mano. Proseguo verso ovest, sul versante di Locana, seguendo un sentierino a tratti molto evidente. La salita si fa sempre più faticosa, risalgo il ripido versante erboso fino a sbucare in cresta. Con sommo stupore, più in basso di me, vedo due “pellegrini”.. scambio di informazioni e consigli, loro arrivano dal vallone di Vassola.. mai, sinceramente, avrei immaginato di trovare gente su di qui.
 
Proseguo la mia salita solitaria, la cresta si fa comoda ed ampia, e raggiungo la vetta senza problemi. Sono stanco, dopotutto sono quasi 1600 m di dislivello, e sono salito lavorando di roncola e costruendo ometti….
 
La guida CAI-TCI scrive che la vera cima è il torrione più ad ovest (quotato 2874 m), in realtà a me sembra alto esattamente come la cima dove mi trovo ora.. ma poco importa, questa è la vetta ufficiale della Cima Giardonera, e sono quassù in totale solitudine. Il panorama è impagabile, e col binocolo vedo casa mia. Il Gran Paradiso di fronte a me, mi fa pensare ad una giornata di 9 mesi fa, all’ombra dei suoi ghiacciai, in cui è cambiata la mia vita…
 
La sosta in vetta è lunga e piacevole, poi è ora di scendere. Costruisco ometti ancora in discesa, rapidamente raggiungo il colle di Nora ed il Gias di Lee. Dal fresco della vetta, la temperatura aumenta man mano che scendo di quota. Non incontro anima viva, prima dell’Alpe Cialma decido di proseguire per il sentiero a mezzacosta che dovrebbe portarmi nella conca del Ciavanis, a giudicare dalla cartina IGM che ho dietro.

E così è. Percorso panoramicissimo, ed eccomi sopra il Ciavanis. Raggiungo la strada sterrata, e mi aspetta la lunga discesa su di essa. Arrivo a Vonzo 9 ore dopo essere partito, coi piedi fumanti.
 
Anche questa è andata. Un altro tassello del progetto di salire tutte le vette, principali e secondarie, della catena spartiacque val Grande di Lanzo-Valle dell’Orco è stato aggiunto. Grande soddisfazione per una gita grandiosa, in ambiente a tratti selvaggio, solitario, tra vecchi sentieri ed alpeggi in abbandono, forse segni di un mondo che va scomparendo, ma che è la storia di queste valli, e di questi percorsi così lontani, per fortuna, dai flussi del turismo di massa.
 
Se si cerca la wilderness è qui, che bisogna venire.

 







La Luna si adagia sulla Leitosa



Gias di Lee



Ghiaccio d'estate



Il fantastico monolito del colle di Nora



vetta



autoscatto



La fedele guida



In cresta



Genziane



Vecchi sentieri



Fioriture



Fontana



Uia di Bellavarda

giovedì 16 giugno 2011

la forza della vita

in questa betullina nata in una piccolissima fessura di un grosso macigno di gneiss.

vivrà? non vivrà?

non si sa. ma è incredibile come la natura, e la vita, cerchi ogni appiglio per essere tale.

martedì 3 maggio 2011

3 maggio

sono già passati 8 anni da quel 3 maggio, da quella mattina in cui, alle 9.45, hai lasciato questa terra per salire sulla montagna più alta che esista.

E' già passato tanto tempo... ma i ricordi delle tante gite e tante montagne salite assieme, rimane, seppur col rimpianto di non esserne riuscite a fare altre.

Ti ricordo con questa foto, sulla Cima dell'Arolley, di fronte al nostro Gran Paradiso, il 3 luglio 1999. La nostra prima gita crepuscolare.



Bei ricordi, indelebili, che rivivono ogni volta che torno in montagna, grazie alla passione che mi hai trasmesso.

Ciao pà.

martedì 5 aprile 2011

The Wall live, 4 aprile 2011

 


Difficile riordinare le idee dopo le emozioni vissute ieri sera ad Assago. Non credevo, anni fa, che un giorno avrei potuto assistere allo spettacolo di The Wall dal vivo. Speravo di poter vedere un concerto di Gilmour o anche Waters, ma proprio The Wall.. non pensavo che sarebbe stato riportato in scena dopo 30 anni.
 
Ho preso i biglietti quasi un anno fa…gli ultimi giorni non stavo più nella pelle. Il viaggio verso Assago, il caldo di aprile. La coda, il clima rovente dentro al forum. L’attesa. E poi il ticchettio di un conto alla rovescia. E le note di “In the flesh?” che mi provocano subito la pelle d’oca, fuochi artificiali, uno stuka che si schianta oltre il Muro con fuoco e fiamme. Lo show ha inizio.
 
“The thin ice” con le immagini del padre di Waters e di altri, civili e soldati, morti nelle guerre degli ultimi 70 anni. The Wall sin dall’origine era un messaggio politico, e lo è ancora, adattato ai tempi.
 
E poi “Another brick in the wall part 1, The happiest days of my life ed Another brick in the wall part 2” in sequenza crescente di suoni, luci ed emozioni. La pelle d’oca, il groppo in gola nell’urlare “Hey theachers leave the kids alone!” con tutte le 10000 persone del forum ed il coro dei bambini sul palco, il pupazzo del maestro cattivo che riporta alle immagini del film.
 
“Mother” solo per chitarra e voce riporta la calma, con un bel “col cazzo” come risposta a “should I trust the government” prima di “Goodbye blue sky”, dove le colombe della pace diventano aerei che scaricano come bombe simboli ideologici e religiosi.. falce e martello, croce, mezzaluna, stelle di David, simboli della Shell e della Mercedes.. bombardamento di ideologie.
 
“Empty spaces” e “Shall we do now?” con l’amplesso psichedelico tra i fiori, ed il crescendo di suoni, portano a “Young lust”, con le immagini di donnine che potrebbero essere anche piuttosto di attualità.
 
In sequenza, mentre il Muro viene completato, le canzoni che portano Waters-Pink a distruggere la stanza, separarsi dalla moglie, chiudersi dentro al Muro, prima dell’intervallo, per “riprendersi” dalle emozioni vissute finora.
 
“Hey you” eseguita tutta dietro al Muro riprende lo spettacolo. “Is there anybody outhere?” si domanda Waters, mentre già il cuore mi batte forte sapendo che il pezzo forte sta per arrivare. Ci si chiede che fine ha fatto “Vera Lynn”, urliamo di portare i “ragazzi a casa” nel forum che esplode quasi in un boato. Qualcuno bussa alla porta, “it’s time to go”, è ora di andare. Ultima domanda, “Is there anybody outhere”, poi parte “Comfortably numb” che canto con tutta la voce che ho, la pelle d’oca, l’emozione che mi vince ed una lacrima mi scende sul viso. L’assolo finale, che, anche se non è prodotto dalle mani di Gilmour, è all’altezza della situazione. Mi perdo quasi in trance, in piedi, abbracciato alla donna che amo. Quando finisce in un’esplosione di suoni sono esausto e quasi senza voce… ma “the show must go on”.
 
“In the flesh?” mi riporta alla realtà, prima di una travolgente ed energica “Run like hell”. Le emozioni sono sempre forti, ma so che manca poco alla fine. “Waiting for the  worms”, con Waters vestito col il mantello da ufficiale, e la marcia pseudo-nazista dei martelli, che da piccolo mi impressionava tantissimo, proiettata sul Muro.
 
Ci siamo, è l’ora del “processo”. Roger solitario sul palco, mentre alle sue spalle il giudice sentenzia: “abbattete il Muro”.
 
TEAR DOWN THE WALL!
 
TEAR DOWN THE WALL!
 
TEAR DOWN THE WALL!
 
…urlato a ripetizione da tutto il forum, l’emozione che sale, il Muro che finalmente cade, blocco per blocco, con un frastuono che fa vibrare le scalinate. Mi viene ancora la pelle d’oca a pensarci.
 
 “Quelli che Ti amano veramente camminano su e giù, fuori dal Muro”. Giuly si stringe a me, sente il mio cuore che batte emozionato, anche noi, come la band e Pink, siamo “outside the wall”.
 
Thank you, grazie mille. La musica si affievolisce, i musicisti ad uno ad uno lasciano il palco, l’ultimo è Waters.
 
I suoni finiscono, le luci si accendono. “The show is over”, è finito lo spettacolo. Un bacio a chi mi ha accompagnato, ed ha vissuto con me queste emozioni. Un viaggio di ritorno nella pianura padana, le luci di casa, un letto che ci accoglie, la stanchezza che ci assale.
 
Ripenso alle emozioni vissute questa sera. Brividi. Il respiro della mia compagna, gli occhi che si chiudono, il sonno che mi rapisce, trasportandomi nuovamente in un mondo di sogni, tra i vivi ricordi di una serata indimenticabile.

mercoledì 16 febbraio 2011

uno strano inverno

è uno strano inverno quest'anno. pur avendo messo gli sci la prima volta il 6 novembre, mai così presto da quando faccio scialpinismo, il proseguio della stagione non è stato come poteva apparire dal "mattino".

non ho fatto molte gite e la neve, tolta l'ultima settimana del 2010, non è stata poi granchè. l'alternarsi di freddo e caldo in quota, ed un lungo periodo secco, han creato condizioni strane, riducendo le montagne in stato quasi primaverile in molte valli.

ora è tornata di nuovo un po' di neve, vedremo cosa si riuscirà a trovare nel fine settimana. siamo a 15 giorni dalla fine dell'inverno meteorologico, nelle scorse settimane la primavera ha già fatto sentire il suo respiro, mi vien già quasi voglia di disegnare curve sul firn..

ma, forse, è ancora presto.

per vari motivi la montagna nell'ultimo mese e mezzo non mi ha visto molto. è ora di recuperare il tempo perduto, di tornare a trovare questa cara, vecchia amica.




giovedì 27 gennaio 2011

Giornata della Memoria

Nella Giornata della Memoria segnalo questo libro, decisamente "pesante" ma che ci ricorda come, nonostante dopo la Shoah si disse "mai più", in realtà, proprio nel cuore d'Europa, 15 anni fa si perpetrò un genocidio contro i musulmani bosniaci, uno "sterminio" vero e proprio con esecuzione di massa di 8000-10700 civili maschi di religione musulmana della città enclave di Srebrenica.

Ancora oggi "saltano fuori" fosse comuni con centinaia, migliaia di corpi. "Mai più" si disse.. invece anche i musulmani di Bosnia, nel luglio 1995, subirono una Shoah mentre l'Europa ed il mondo intero, sono stati a guardare. Ci sono state responsabilità più o meno dirette dell'ONU in quel massacro. E nessuno, ancora ha pagato.

E le donne di Srebrenica aspettano ancora di sapere che fine hanno fatto mariti, fratelli e figli. Con la Giornata della Memoria voglio ricordare anche loro.

venerdì 21 gennaio 2011

Presentazione Guida Scialpinistica del Canavese




prima della presentazione ufficiale verrà proiettata in automatico e senza commento la proiezione sullo scialpinismo da me realizzata nel 2009, "Momenti di Scialpinismo"