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lunedì 12 dicembre 2011

La “prima”


Dopo un mese di assenza sono tornato a vagare per monti. 

Invitato da due cari amici, mi sono lasciato trascinare per la prima uscita con gli sci, in questo “inverno” che stenta a decollare, con poca neve sui monti, poco freddo sia in pianura che in quota, e con notizie sciistiche nel mare del web non certo entusiasmanti.

Una prima scialpinistica che ricalca la stessa meta di quella “prima” del 15 novembre 2008, prima gita di una lunga serie in un inverno spettacolare, con tanta, tanta neve come non se ne vedeva da decenni. Sono cambiate molte cose da quel giorno di tre anni fa. In questi tre anni è successo un po’ di tutto nella mia vita, e non solo. 

Ma quel che non cambia è la scelta della “prima”, e soprattutto i due amici coi quali condividerò la gita.

Ricordo l’innevamento di quel giorno, e guardandomi intorno oggi non posso non constatare che di neve ce n’è davvero poca qui in valle Orco, e la nostra salita e discesa alla Costiera dell’Uja si svolgerà su un manto che nulla ricorda quella splendida farina di novembre.

Ci destreggiamo tra sastrugi, placche da vento, neve dura vecchia e ondulata, tenendo le orecchie drittissime nel bosco per evitare sospetti accumuli. La parte alta della montagna è stata massacrata letteralmente da tre giorni di favonio, che han spazzato via la neve farinosa recente, e portato alla luce il manto nevoso caduto con le forti piogge di novembre, pressochè l’unica vera perturbazione degli ultimi 4-5 mesi. In cima ci siamo solo noi tre, a godere del sole tiepido dopo una salita interamente all’ombra ed al freddo. Cerco inutilmente, ancora una volta, di fare una foto, ma le batterie che ho ricaricato ieri sera, sono state “scaricate” dal freddo. 

Niente foto, quindi. Memorizzo tutto nei miei occhi e basta.

Una pausa per ritemprarci, poi si scende. Con molta calma, un po’ perché sono sette mesi che non scio, un po’ perché la neve è quella che è. Lamine buone, molto controllo, ma sfruttando le zone di neve vecchia, si riesce a fare qualche curva. Scendiamo sul fondo del vallone del Carro, di nuovo nel gelo e nell’ombra, trovando neve di tutti i tipi, meno quella bella farina sogno di ogni scialpinista. Ci accontentiamo, anche se arrivare sulla stradina battuta è tranquillizzante, nonostante l’effetto vibromassaggio assicurato fino a quando si tolgono gli sci.

I camosci, sicuramente più contenti di noi della scarsità di neve, brucano allegramente l’erba secca sul versante al sole della valle e ci osservano con un mix di curiosità, timore primordiale e, ne sono certo, compassione, per questi tre “folli” di ritorno da quel buio, freddo e deserto vallone.

Tre “folli”, ma pur sempre tre amici che più tardi si ritroveranno nella solita famigliare piola, chi di fronte ad una birra, chi di fronte ad un bicchiere di buon vino, a parlare di montagna, sci, gite passate e future, come ai vecchi tempi.

 A volte è bello riassaporare l’aria del mio piccolo mondo.


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