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domenica 26 novembre 2006

l'ultima ascensione

Risalivano velocemente il ghiacciaio, o meglio, quello che ne rimaneva. Il sole picchiava forte sulla loro testa, quel sole che ormai era diventato insopportabile, quel sole che negli ultimi anni faceva strage di ghiacciai sulle alpi divenute irriconoscibili. I loro volti stanchi erano attraversati da rivoli di sudore, il loro passo si faceva sempre più stanco. Si fermarono a prendere fiato per un momento. Con la paura negli occhi si voltarono per vedere se qualcuno li seguiva: niente, non c’era anima viva oltre a loro, in quell’angolo di paradiso che gli rimaneva. Si ricordarono della prima volta che si incontrarono, su quella stessa montagna. Era la metà di agosto di oltre venti anni prima, quando i loro sguardi si sfiorarono per la prima volta, nel freddo del mattino d’alta quota. Erano tempi in cui la montagna era libera, era libera e viva. Ogni estate centinaia di persone si dilettavano sulle Alpi, salivano vette, camminavano per le valli, si tuffavano nella natura. Ma nel frattempo il clima si scaldava sempre di più, i ghiacciai scomparivano a vista d’occhio, la siccità imperante metteva in ginocchio le città. Il livello del mare era salito, molte città costiere erano state abbandonate, e nuovi insediamenti erano sorti in quelle valli. E fu così che si stravolse del tutto un’ecosistema già fragile, già violentato da frane e alluvioni. Le Alpi "palestra di gioco per l’Europa", come venivano definite oltre un secolo prima dai primi alpinisti inglesi, si stavano riducendo a deserti di pietre e cemento. Le zone libere dall’asfalto si riducevano sempre di più, e alpinisti, escursionisti, e tutti coloro che amavano la montagna, si concentravano i poche aree sempre più ristrette, quelle poche che rimanevano come le ricordavano. Ma il troppo affollamento significava un forte incremento degli incidenti. Le compagnie di assicurazioni, accecate dal profitto, comandavano già da decenni buona parte dell’economia, e sotto la loro spinta fu così che furono vietate le Alpi. Fu proibita ogni attività o sport legata al mondo alpino. A nulla valsero le proteste di chi con la montagna ci viveva. Ogni infrazione della legge veniva punita duramente, e ai ragazzi come loro non restava che frequentare quell’ambiente clandestinamente, con il rischio di venire scoperti. Negli ultimi anni però la situazione si fece sempre più drammatica, numerosi alpinisti scoperti in flagranza si lasciarono cadere dalle pareti per non farsi arrestare, non volevano rinunciare all’unica libertà che gli era rimasta in quel mondo malato, l’unica libertà che gli permetteva di tornare al contatto con la natura, di uscire dalle grigie pareti degli uffici in cui erano costretti dalla logica del progresso a tutti i costi.


Si guardarono fissi negli occhi: una lacrima scese sul volto di lei, nelle loro menti correvano le immagini dei bei momenti che avevano passato insieme, delle montagne che avevano salito, delle valli che avevano scoperto. Avevano lasciato tutto da due anni, rifugiandosi tra le poche montagne non civilizzate. Vivevano così, incitando alla rivolta contro quel sistema repressivo, braccati giorno e notte. Erano ormai conosciuti in tutto l’arco alpino per le loro imprese, qualche vittoria l’avevano ottenuta, con il loro piccolo esercito di ribelli, la loro missione era quasi conclusa, decine di eredi seguivano il loro esempio. Ma il cerchio intorno a loro si stava stringendo, sapevano che la loro strada stava per arrivare ad un vicolo cieco. Avevano quindi deciso di salire ancora una volta quella montagna dove si erano incontrati. Avevano lasciato il glorioso rifugio, ormai in rovina, che era notte fonda, una notte di luna piena, una luna che illuminava creste e vette immerse nel silenzio totale, rotto solo dai loro passi sulla morena. Le prime luci del nuovo giorno si allungavano sulle vette circostanti, le ombre della notte si ritiravano, quando giunsero alla base del pendio terminale. L’aria era piacevolmente frizzante, un mare di nubi in continua agitazione copriva quel mondo che rifiutavano, nascondendolo alla loro vista., le montagne ne uscivano fuori come delle isole, delle isole di vita in un mare di nulla. Arrivarono sulla vetta con il primo sole. C’erano riusciti, erano arrivati là dove volevano, al termine di quella corsa. Si presero per mano e restarono in silenzio ad aspettare il momento. Intuivano il solco della Valnontey, quello della Valle dell’Orco, la Valsavarenche. In lontananza la piramide del Monviso sovrastava lo smog e le nuvole. Un refolo d’aria accarezzò i loro volti bagnati dalle lacrime. Erano consapevoli che quella era l’ultima volta che i loro sguardi si incrociavano. Una voce lontana ruppe la magia: erano vicini, li avevano scoperti. Ecco, gli sguardi dei fuggiaschi e degli inseguitori si incrociavano, pieni d’odio e di rabbia. Era giunto il momento, la loro strada era arrivata al vicolo cieco che temevano da anni. Lui le strinse forte le mani, poi si abbracciarono. Mano nella mano si volsero verso l’abisso che sprofondava nella nebbia. Sentirono ancora le voci di chi li braccava, ormai prossime, e con gli occhi gonfi di lacrime si lanciarono un’ultima intesa. Chiusero gli occhi e si lasciarono andare, nella loro ultima corsa verso la libertà. 


19 novembre 2001

5 commenti:

  1. Bello, ma... c'hai un po' la fissa per il salto nel vuoto o sbaglio?

    ;-)

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  2. no, perchè? lo scrissi parecchi anni fa. e non era nemmeno un'idea tanto originale.

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  3. Lo conoscevo già.. ma fa sempre piacere rileggerlo... Molto bello!!

    gp

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  4. Ah, ecco, mi sa che l'avevo già letto e pensavo che questo fosse nuovo ritornando sullo stesso finale... per quello parlavo di fissa.

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  5. si, magari l'avrai già letto, è anche sul sito.... ma chi sei, utente anonimo? :-)

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