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giovedì 30 ottobre 2008

Kossiga

E' da molto tempo che non affronto argomenti di attualità di questo paese (volutamente con la minuscola..), ma stamattina quando ho sentito le parole di Francesco Cossiga, in un'intervista di una settimana fa sul Quotidiano Nazionale, sono rimasto allibito.


Specie dopo quanto successo ieri a Roma.


Non entro in merito della riforma Gelmini, che tra l'altro mi trova d'accordo in alcuni suoi aspetti...


Ma trovo le parole di Cossiga di una gravità inaudita.


Ecco l'intervista:


Presidente Cossiga, pensa che minacciando l'uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?


«Dipende, se ritiene d'essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché è l'Italia è uno Stato debole, e all'opposizione non c'è il granitito Pci ma l'evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà quantomeno una figuraccia».


Quali fatti dovrebbero seguire?


«A questo punto, Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno».


Ossia?


«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito...».


Gli universitari, invece?


«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».


Dopo di che?


«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».


Nel senso che...


«Nel senso che le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano».


Anche i docenti?


«Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».


E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.


«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio».


Quale incendio?


«Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».


E' dunque possibile che la storia si ripeta?


«Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».


Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.


«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».


Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...


«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all'inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com'era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c'è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».


 [Fonte: Intervista di Andrea Cangini per «Quotidiano nazionale»]


No, dico, ma STIAMO SCHERZANDO???


Infiltrare AGENTI PROVOCATORI per SCREDITARE LA PROTESTA e  MASSACRARE DI BOTTE TUTTI??


Questa è l'dea di DEMOCRAZIA che si ha in questo paese?



mercoledì 29 ottobre 2008

poesia vinicola

un momento di ilarità ci vuole...per farsi due sane risate!


ho ricevuto questa poesiola per e-mail...


è geniale, da morir dal ridere!!





UN GIORNO DI MARZEMINO, AL PRIMO CHIARETTO DELL'ALBA, CAMMINAVO NELLA

CHAMPAGNE DELL'OLTREPO' PAVESE, IN MEZZO AL NEBBIOLO.

IL TEMPO ERA UN INFERNO, IL CIELO VERDICCHIO TENDENTE AL GRIGNOLINO.

MI RIPARAI SOTTO UN PINOT E LI' INCONTRAI UNA SOAVE DONNA FUGATA CHE

AVEVA UN VESTITO MOLTO ROSE'.

NON ESSENDO RECIOTO, TUTTO SPUMANTE LE DIEDI UN DOLCETTO BACIO SUL

BIANCO COLLIO E SENZA SFURZAT LE TOCCAI LA BARBERA DELLA BONARDA.

SUBITO IL MIO MERLOT, CHE NON E' ANCORA PASSITO, VENNE DURELLO CHE ERA

UN CANNONAU, MA LEI NON VOLLE CHE ANDASSI OLTRE.

DELUSO E ROSSO DI BORGOGNA LE DISSI: "CHARDONNAY MOI, MADAME".

E CON L'AMARONE IN BOCCA E UN GROPPELLO IN GOLA MI ARRANGIAI DA SOLO.

E SAUVIGNON DE BRUT....




 

martedì 28 ottobre 2008

sabato 25 ottobre 2008

Lettera aperta al Club Alpino Italiano

Su segnalazione di Misty, trascrivo anche su queste pagine la lettera-appello di Paolo Rumiz al presidente del C.A.I., per sollecitare l'associazione ad occuparsi più seriamente dei problemi della montagna.




Lettera di Paolo Rumiz al presidente del Cai Annibale Salsa.
In occasione del 98esimo Congresso del CAI - Predazzo .


Caro Salsa, ti invio questo mio intervento perché sia letto nella sede appropriata. Mi dispiace non essere venuto, ma nella lettera capirai.

Cari amici,

E’ curioso che non possa essere qui tra voi perché il mio giornale mi ha spedito a occuparmi di montagna. Questa mia diserzione è figlia della stessa emergenza che sarà sul tavolo dei vostri lavori. Devo vedere cosa accadrà quando la scure dei tagli pubblici si abbatterà sulle ultime scuole lasciate a presidio delle valli più lontane e spopolate. Lo dico con dolore. Per l’ennesima volta devo monitorare un abbandono di terre alte che apre la strada ai… cinghiali, al degrado e al saccheggio delle risorse. Il mio disappunto per non essere qui a Predazzo è attenuato – ma solo in piccola parte - da questa mia “chiamata alle armi” a difesa dei territori di cui - oggi qui - vi occupate.

Questa mia non è una semplice lettera formale di scusa per un’assenza. E’ qualcosa di più. E’ un’invettiva contro il degrado della montagna di cui vorrei che il Cai tenesse conto, e quindi vorrei fosse considerato un intervento a tutti gli effetti. Ritengo che i lavori sulla Tutela ambientale debbano essere prioritari su qualsiasi altra discussione, tale è l’emergenza che ci troviamo a fronteggiare. Tutto il resto – reclutamento soci, cultura, manifestazioni - sono quisquilie rispetto alla trasformazione biblica cui stiamo assistendo e che la civiltà dello spreco fa di tutto per non farci vedere nella sua reale gravità.

Gli alpinisti non sono una casta. Essi fanno parte dell’Italia e non devono tutelare se stessi per costruirsi serre riscaldate, ma esporsi in prima linea – nel vento forte - per tutelare coraggiosamente il loro Paese, il nostro Paese, senza guardare in faccia nessun Governo, nessun colore politico, nessuna confraternita di pressione economica o politica. Vorrei che il Cai sapesse di essere una lobby e di avere una massa critica e una capacità di pressione sufficienti a cambiare le cose, una forza d’urto che esso può esercitare, se necessario, platealmente, facendosi sentire con iniziative clamorose sotto il portone del Palazzo. Non ci sono più alibi per defilarsi.

Ho cominciato a frequentare la montagna da bambino. Da adolescente ho sognato le prime arrampicate leggendo “Alpinismo Eroico” di Emilio Comici, e talvolta, inseguendo questo eroismo ho rischiato la vita da incosciente. Erano gli anni in cui, specialmente nella mia Trieste, le Alpi erano le sentinelle della Nazione. Da Aosta a Tarvisio gli Alpini uscivano ancora con i muli. Poi è arrivata la stagione adulta, il sesto grado, le nuove vie aperte in Pale di San Martino, Gruppo dell’Agner, Dolomiti della Sinistra Piave. A trent’anni ho lasciato l’arrampicata, quando ho messo su famiglia, ma ho continuato a frequentare la montagna con occhio attento alle sue genti e al suo habitat.

Negli anni seguenti ho raccontato l’Alpe come giornalista e scrittore, continuando a percorrerla in silenzio, e più la percorrevo, più aumentava la mia insofferenza per certo alpinismo – ginnico, narciso e dunque infantile - che puntava all’estremo ignorando tutto ciò che circondava lo strapiombante itinerario verso la vetta. Tutto, a partire dagli uomini. Essi non vedevano l’agonia dei ghiacciai, l’inselvatichirsi del territorio, la desertificazione dei villaggi, la requisizione delle sorgenti, l’aggressione agli ultimi spazi vergini, la cementificazione degli altopiani, la costruzione di impianti di risalita nel cuore di parchi naturali. Non reagivano allo smantellamento del paesaggio che la nostra Costituzione ci impone di tutelare.

Nel 2003, l’anno della grande sete, ho monitorato le Alpi, in un affascinante viaggio di quattromila chilometri dal Golfo di Fiume fino alle Alpi Liguri. Ne ho tratto un racconto a puntate uscito in 23 puntate su “la Repubblica”, una pagina al giorno. Il Grande Male che ci mina dall’interno era visibile ovunque, nel prosciugamento dei fiumi. Mai nella storia d’Italia, erano stati così spaventosamente vuoti. Il loro simbolo era il Piave, teoricamente sacro alla Patria, ma praticamente ridotto a un rigagnolo, un greto allucinante spesso più alto delle stesse strade che lo costeggiano. Uno stupro perpetrato dalla stessa Enel che aveva ereditato il Vajont.

Non esiste in Europa un Paese con i fiumi nello stato pietoso di quelli italiani. Le nostre acque non mormorano più, sulle nostre valli scende una cortina di silenzio funebre di cui nessuno parla. La gravità della situazione non sta solo in quelle ghiaie allucinanti, ma nel fatto che pochissimi le notino, nel fatto che TUTTO attorno a noi – dalla pubblicità audiovisiva nelle stazioni alla dipendenza nazionale dai telefonini - è costruito perché non ci rendiamo conto del disastro e continuiamo a dormire sonni tranquilli fino a requisizione ultimata delle risorse superstiti.

L’opinione pubblica italiana dorme, sta a noi svegliarla. Sta a noi, innamorati della montagna, ricordare che l’Italia è malata e nonostante questo c’è chi vuole succhiarle le ultime risorse. Una notissima multinazionale dell’alimentazione sta apprestandosi a requisire le ultime fonti dell’Appennino tosco-emiliano; altre società hanno catturato le residue sorgenti libere della Val Tellina con la scusa di preservare una risorsa preziosa. Si inventano eufemismi per consentire gli espropri: per esempio “neve programmata”, per nobilitare quel salasso di fiumi moribondi che si chiama innevamento artificiale.

Si afferma che pompare acqua dai fiumi serve a sostenere l’economia della montagna e quindi a evitare lo spopolamento, ma tutti – anche i citrulli – sanno che quegli impianti affogano in deficit spaventosi che la mano pubblica, resa sensibile da opportune donazioni, sarà chiamata a coprire con i nostri soldi. E tutti, nel comparto, sono a conoscenza che più nessuno in Austria, Francia, Slovenia, Svizzera e altre nazioni montanare d’Europa, programma seggiovie a quote dove la neve non arriva se non episodicamente.

Ma la grande scoperta della mia vita di giornalista è stata l’Appennino, che ho percorso metro per metro nel 2006, dando vita a un’altra serie di reportage. Ho scoperto un arcipelago di meraviglie e una rete di uomini-eroi che si ostinano a resistere in quota perché hanno la lucida certezza che l’equilibrio del nostro Paese dipende dalle terre alte. Un’Italia minore, dimenticata dal potere, della quale temo che il nuovo federalismo in auge servirà solo a sdoganare il saccheggio.
Il simbolo di questa aggressività suicida del Paese verso la sua montagna l’ho visto incarnato nella pastorizia, massacrata di divieti e schiacciata da un’alleanza fra burocrati di provincia e una grande distribuzione che spaccia nei nostri negozi carne straniera senza nome e senza qualità. La pastorizia, cenerentola dimenticata, dopo essere stata per secoli inestimabile ricchezza del Paese.
Sempre più spesso capita che ai piccoli comuni spopolati e in bolletta si presentino emissari di grandi aziende che, in nome dell’equilibrio ambientale e altre cause nobili come l’abbattimento del CO2 o il salvataggio delle acque, propongano la costruzione di piccole o grandi centrali, come quella a biomasse che presto stravolgerà la parte più intatta dell’Appennino parmense. Senza più lo Stato alle spalle, questi Comuni non hanno più gli argomenti tecnici e la capacità contrattuale per dialogare alla pari con questi giganti danarosi, capaci di mettere a tacere qualsiasi resistenza. La montagna da sola non ce la fa a proteggersi. Anzi, talvolta è la peggior nemica di se stessa.

Per questo credo che, oggi nel Cai, il ruolo di sentinella dell’Alpe vada rivisto. Noi soci restiamo sentinelle, certo: sapendo però che il nemico non è più esterno alla frontiera, ma abita qui e si muove come vuole nella finanza, nell’economia e nella politica del Paese. Per batterlo serve un’alleanza fra città a provincia, alpinisti e montanari. Il Cai deve ritrovare lo spirito delle origini, laico e indipendente dell’Italia post-risorgimentale che partì alla scoperta di se stessa, monitorando, crittografando, esplorando con passione ogni angolo sperduto del territorio appena unificato. L’Italia è un Paese di montagna, e non voglio che diventi un’esausta colonia, a disposizione di poteri senza patria.

E verrà un giorno in cui i fiumi si svuoteranno, l’aria diverrà veleno, i villaggi saranno abbandonati come dopo una pestilenza, giorni in cui la neve e la pioggia smetteranno di cadere, gli uccelli migratori sbaglieranno stagione e gli orsi non andranno più in letargo. Verrà anche un tempo in cui gli uomini diverranno sordi a tutto questo, dimenticheranno l’erba, le piante e gli animali con cui sono vissuti per millenni.

Sembrano le piaghe d’Egitto. Invece è l’Italia di oggi. Pensate che uno ci dica tutto questo, un profeta solitario incontrato per strada. Gli daremo del matto? Oppure taceremo per la vergogna di ammettere che è già successo e di non aver fatto niente per impedirlo?

Paolo Rumiz





Ho volutamente lasciato le sottolineature indicate da Misty, che ringrazio per la segnalazione.






giovedì 23 ottobre 2008

non me par vero..

Ogni tanto ripenso a come stavo fisicamente da schifo tra l'estate e metà settembre...


E faccio il confronto con ora.. che differenza, è bello sentirsi "rinascere", e davvero l'energia che pian piano torna..


Sto recuperando la forma, e non sapete quanto sia felice di ciò, anche perchè ho potuto ritornare a camminare per i monti senza fare fatica sovraumana..


Berg heil!


 


 

mercoledì 22 ottobre 2008

Impressioni d'ottobre

Colle Sià 2270 m e Alpe Loserai di sopra 2312 m

Impressioni d’ottobre.





Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse no,
è sveglia, mi guarda, non so.


Domenica mattina. Sto risalendo una Valle Orco che si sta svegliando in queste ore…arrivo a Ceresole, la vista delle Levanne inzuccherate è da togliere il fiato. L’aria è decisamente fresca, ma non fredda, considerando la stagione. Mi preparo, scarponi ai piedi e zaino in spalla, e parto dalla borgata Moies 1569 m. Cammino con calma, oggi voglio prendermi i miei tempi. Dopo neanche un quarto d’ora, nonostante mi precedessero due persone, ecco il primo camoscio… nel bosco, sguardi reciproci, una foto, e ognuno riprende il proprio cammino.

Salgo nel silenzio del bosco, tra la rugiada della notte che si asciuga, il sole sbuca dalla cresta del Monte Unghiasse, accende i colori del bosco. Uno sparo lontano rompe il silenzio e scuote la valle. Io sono dentro il Parco Nazionale, ma il versante opposto della valle Orco nel Parco non è. Gli umani lo sanno bene, ma gli animali non conoscono i confini del Parco, per gli animali non ci sono confini. Lo sparo è isolato, non ne seguono altri, torna il silenzio.

Riprendo a camminare sotto una pioggia di aghi di larice, che danzano nell’aria sospinti da una dolce brezza. Un altro camoscio pasteggia qualche metro più in alto di me. I larici si diradano, eccomi alla Cà Bianca, le Levanne appaiono in tutto il loro splendore, con il canalone del Col Perdù illuminato dal sole. Mi concedo una pausa sui pascoli ingialliti, mi guardo intorno ma non vedo animali.

Anzi, sì. Alzando gli occhi al cielo, una coppia di aquile volteggia nell’azzurro, disegnando traiettorie circolari che si intrecciano, sfiorando le rocce e le cime dei larici. Libertà.

Saluto due anziani escursionisti, e riprendo la mia salita. Se esistesse un aggeggio per registrare “gli odori”… quello forte, pungente del larice lo adoro, d’autunno, forse perché cadono gli aghi, è ancora più forte… come vorrei portarmi a casa questi odori. Annuso la ruvida corteccia di uno di loro, respirando a pieni polmoni. Esco definitivamente dal bosco, rimangono solo sparuti laricetti contorti, e qualche vecchio ceppo sconfitto dal tempo. In lontananza scorgo altri camosci, poi guardo verso il colle, com’è diverso l’ambiente da quando sono stato qui l’ultima volta un sabato d’aprile, spazzolati dal vento e dal nevischio.

Seguo fedelmente la mulattiera, lascio sulla mia sinistra i ruderi dell’Alpe Ciaplus, due tornanti e mi aspetta l’ultimo tratto a mezzacosta che porta al colle Sià, 2274 m. Purtroppo alcune nubi nascondono il mio amato Grampy, giunto al colle sul lato opposto non appare il panorama che mi ero immaginato, pazienza. Sbucano dalle nebbie i Denti del Broglio, la Becca di Monciair, il Ciarforon… versante sud, praticamente privo di neve fino a 3600 m. Decido di proseguire ancora un po’ visto che mi sento bene e non sono stanco. Continuo sulla splendida mulattiera che taglia il versante, un fischio mi fa sobbalzare, guardo in basso, lui mi aveva visto ma io no… un camoscio fischia ancora e poi scappa nell’ombra.

Abbandono poi il sentiero, vago per un po’ senza meta tra rocce montonate e pascoli rinsecchiti, alcuni grandi massi sembrano stati sparpagliati qui da una grande mano, è molto bello questa specie di piccolo altopiano sospeso sul vallone di Ciamosseretto. Ora qui non c’è nessuno, cammino tra le baite dell’Alpe Loserai di sopra 2312 m, alcune in rovina, e le tracce di un mondo che anno dopo anno sta scomparendo. Salgo di qualche metro fino all’ultima baita, sopra tra le rocce noto che sono osservato… la chiara testa di un camoscio appare quasi mimetizzata tra la pietraia, mi scruta incuriosito (o impaurito?), io torno indietro, scegliendomi un bel praticello morbido dove pranzare. In lontananza vedo qualche escursionista, voci lontane, poi torna il silenzio, rotto solo dal venticello che a tratti mi intirizzisce.

Dopo un lauto pranzo a base di pane, formaggio, prosciutto e un sorso di vino valdostano, mi stendo, la pace è pressoché totale e presto mi addormento… mi risveglio perché una nube ha coperto il sole. Raccolgo le mie cose, scendo un po’, il sole ritorna, e mi spinge a fare un’altra lunga sosta. Tra le nebbie del vallone di Ciamosseretto appare il Roc 4026 m e poi il Grampa 4061 m… col binocolo riesco a vedere la Madonnina, le mando un saluto. Il tempo passa, in questa giornata dove le ore ed i minuti paiono dilatati. Sono le 3 del pomeriggio passate quando mi rimetto in cammino.

Decido di fare un giro alternativo, seguendo vecchi sentieri dimenticati. E ritrovo altri camosci...sapevo che ne avrei trovati qui, lontano dal sentiero principale…mi guardano dall’alto, controluce, risalgo anche io il dosso dove si trovano, poi proseguo a mezzacosta alto sul vallone, fino ad una dorsale erboso-detritica, protesa come la prua di una nave sulla valle dell’Orco. Non credo siano molti gli umani che passano di qui…non vedo tracce. Nel vallone sottostante vedo 15-20 camosci che, avendomi visto, si spostano velocemente verso ovest. Il lago di Ceresole brilla di riflessi, le Levanne giocano coi controluce.

Mi siedo qualche minuto ad ascoltare il silenzio.

Poi ridiscendo nell’ombra, per andare a riprendere il sentiero dell’andata. Incontro altri camosci, gli ultimi della giornata. Uno di loro, l’ultimo che mi passa davanti, è magro e pare emaciato. Infatti starnutisce di continuo. Povero animale, difficilmente passerà l’inverno. Lo guardo brucare sul filo di cresta, mentre i raggi del sole illuminano un rosso larice. E’ uno di quei momenti che, anche se scatti una foto, non renderà MAI come ammirarlo dal vivo. Saluto lui e i suoi compagni, e riprendo la mia discesa. Passo dopo passo seguo il sentiero, fino ad abbandonarlo per seguire una vecchia traccia che scende tra i larici. Una sosta ad una sorgente, ed esco in una radura, sul cui bordo, vicino ad un grazioso laghetto, sorgono vecchie baite.

Faccio merenda con pane e salame qui, la foschia si è inoltrata nella valle, e disegna i contorni delle montagne. Un puntino che brilla a destra del Colle Perduto forse è il rifugio Leonesi, piccolo nido d’aquila sulla valle. A malincuore riprendo la via di casa, pochi minuti e sono alla Cà Bianca. Indugio ancora nei dintorni, bighellonando tra le piante, prima di scendere. Qualche nube risale dalla bassa valle, strisciando contro i fianchi delle montagne. Scendo col sole in fronte, rientrando nel bosco.

No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.


Solo il suono dei miei passi mi accompagna, la coppia di escursionisti che è qualche centinaio di metri avanti a me scende anch’essa in silenzio. L’aria si rinfresca, l’ombra prende il sopravvento nella valle, i camini si accendono quando arrivo all’auto. Sono le 17.20. Anche questa giornata tra i monti volge al termine. Grazie. 



 

martedì 21 ottobre 2008

Watching me fall

I’ve been watching me fall for it seems like years
Watching me grow small, I watch me disappear
Slipping out my ordinary world, out my ordinary eyes
Yeah slipping out the ordinary me into someone else’s life
Into someone else’s life…


There’s a thin white cold new moon and the snow is coming down
And the neon bright tokyo lights flicker through the crowd
I’ve been drifting around for hours and I’m lost and I’m tired
When a whisper in my ear insatiable breathes
“why don’t you follow me inside?… ”


Yeah the room is small, the room is bright
Her hair is black, the bed is white
And the night is always young
Is always young… always young
The night is always young…


Yeah I’ve been seeing them strip to the bone in the mirror on the wall
Seeing her swallow him whole like it’s not me at all
She holds out her hands and I follow her down to my knees
And the sucking inside insatiable smiles
“you will forget yourself in me… ”


Yeah the room is small, the room is bright
Her eyes are black, the bed is white
And the night is always young
And the night goes on and on
And the night is always young
And the night is never over and over and over and over and over…


And then it’s gone
And then it’s gone
Yeah then it’s gone…


Yeah it’s a cruel mean cold new day and outside the snow is still coming down
And in the blood red tokyo bed I watch me coming round
She pulled him down for hours
Deeper than I’ve ever been
And as I fall in the mirror on the wall
I’m watching me scream
I’m watching me scream
I’m watching me scream


I’m watching me scream


Yeah I’ve been watching me go for it must be years
Watching me get slow, I watch me disappear
And one day, yeah I know, I won’t come back at all…
And always over and over in his ordinary eyes
I’m watching me fall
I’m watching me fall
I’m watching me fall


I’m watching me fall


(The Cure)



domenica 19 ottobre 2008

lo Spirito della Montagna

Oggi ero su per i monti, da solo... avevo bisogno di trascorrere una giornata a contatto con la natura, la Montagna, l'autunno...

e con gli Spiriti della Montagna... è sempre un'emozione quando i tuoi occhi si incrociano con i suoi.



L'essenza della Libertà.


martedì 14 ottobre 2008

lunedì 13 ottobre 2008

La stagione del tuo amore
non è più la primavera
ma nei giorni del tuo autunno
hai la dolcezza della sera
se un mattino fra i capelli
troverai un po' di neve
nel giardino del tuo amore
verrò a raccogliere il bucaneve

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
poi ritrovarli nella luce di un'ora

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
puoi ritrovarli nella luce di un'ora


Fabrizio De Andrè

giovedì 9 ottobre 2008

9 ottobre 1963




 


“ So che 260 milioni di metri cubi di roccia, coste di montagna alte 300 metri, rocciose, con i boschi sopra, con i corsi d’acqua, con lo stagno, coi campi coltivati, coi pascoli, le vallate, le colline. E le case, con le stalle e le bestie che muggiscono impazzite ... Un mondo intero, immenso!, fatto a M, passa, compatto, non sbriciolato, a sassi .. Un mondo intero con gli alberi ancora dritti, passa tutto insieme da 60 centimetri a 100 km all’ora in meno di un minuto. .... 50 milioni di metri cubi d’acqua si sono messi in piedi al centro della valle formando un fungo alto 250 metri. ... C’è lo sperone della roccia sotto il paese di casso, che sega la colonna d’acqua alla base, e quando l’acqua arriva al paese non ha più forza .. l’acqua a casso non ha ammazzato nessuno ... la gente è malconcia ma viva..


L’onda non è finita, si è spaccata in 2 proprio sotto lo sperone di roccia e adesso si divide: mezza è tornata indietro, rifluisce a spazzolare le sponde della valle ... C’è Erto. Erto è più bassa. Troppo bassa... Quando arriva a Erto l’onda si è allargata abbastanza da prendere giusto il piano terra delle case. La gente scappa al piano di sopra e si salva...


L’altra mezza onda è quella che salta la diga. Ora sono soltanto 25 milioni di metri cubi. Passano la diga verso Longarone: nel punto più alto 230 metri e passa, nel punto più basso un centinaio. Non do i numeri: c’è la roccia incisa a fuoco, scintilla ancora quando piove, e tu vedi il segno di dov’era arrivata l’acqua....”  


 



 


“Quattro minuti da quando l’acqua salta la diga a quando arriva a Longarone... Corre a 80 km all’ora dentro quella gola, l’acqua. ... Quattro minuti per decidere come muori o come vivi ... All’uscita della gola del vajont, davanti all’acqua in corsa, ci pensa l’aria a toglierti ogni speranza. Compressa dall’acqua che corre dentro quel binario che adesso è la gola del Vajont raggiunge la forza, la pressione di 2 bombe atomiche di Hiroshima.. Quali corpi vuoi trovare in una valle chiusa dopo una bomba atomica? Vajont è anche questo: mille bare con qualcosa dentro e altre mille senza niente dentro ...”



[Tratto dal libro “Il racconto del Vajont” di Paolini e Vacis]





mercoledì 8 ottobre 2008


All that you touch and all that you see
All that you taste, all you feel
And all that you love and all that you hate
All you distrust, all you save
And all that you give and all that you deal
And all that you buy beg borrow or steal
And all you create and all you destroy
And all that you do and all that you say
And all that you eat and everyone you meet
And all that you slight and everyone you fight
And all that Is now and all that Is gone
And all that's to come
And everything under the sun Is in tune
But the sun Is eclipsed by the moon

"There is no dark side in the moon really.
Matter of fact it's all dark."



domenica 5 ottobre 2008

malinconie d'autunno

Avevo assolutamente bisogno di evadere sui miei amati monti

Di respirare l'aria frizzante

Gli odori d'autunno

Osservare e gioire alla vista dei primi colori vivaci che solo questa stagione sa dare

Avevo bisogno di gustarmi il silenzio della mia amata valle

Di stendermi su un prato, guardando il cielo, lasciarmi scaldare da sole, mentre il vento muove le cime dei larici dorati

E di tornare a muovere i miei passi là, sotto il mio Gran Paradiso

E così, è stato, oggi.

Leaves are falling all around,
It's time I was on my way.
Thanks to you, I'm much obliged
For such a pleasant stay.
But now it's time for me to go,
The autumn moon lights my way.




Valnontey, nei pressi del ponte dell'Erfaulet, 4 ottobre 2008.

venerdì 3 ottobre 2008

Enjoy the silence

Words like violence
Break the silence
Come crashing in
Into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Cant you understand
Oh my little girl

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm

Vows are spoken
To be broken
Feelings are intense
Words are trivial
Pleasures remain
So does the pain
Words are meaningless
And forgettable

All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm

Enjoy the silence

giovedì 2 ottobre 2008

mattoncino dopo mattoncino...sento l'energia che torna in me.



è difficile da spiegare, ma è così.