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mercoledì 22 ottobre 2008

Impressioni d'ottobre

Colle Sià 2270 m e Alpe Loserai di sopra 2312 m

Impressioni d’ottobre.





Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse no,
è sveglia, mi guarda, non so.


Domenica mattina. Sto risalendo una Valle Orco che si sta svegliando in queste ore…arrivo a Ceresole, la vista delle Levanne inzuccherate è da togliere il fiato. L’aria è decisamente fresca, ma non fredda, considerando la stagione. Mi preparo, scarponi ai piedi e zaino in spalla, e parto dalla borgata Moies 1569 m. Cammino con calma, oggi voglio prendermi i miei tempi. Dopo neanche un quarto d’ora, nonostante mi precedessero due persone, ecco il primo camoscio… nel bosco, sguardi reciproci, una foto, e ognuno riprende il proprio cammino.

Salgo nel silenzio del bosco, tra la rugiada della notte che si asciuga, il sole sbuca dalla cresta del Monte Unghiasse, accende i colori del bosco. Uno sparo lontano rompe il silenzio e scuote la valle. Io sono dentro il Parco Nazionale, ma il versante opposto della valle Orco nel Parco non è. Gli umani lo sanno bene, ma gli animali non conoscono i confini del Parco, per gli animali non ci sono confini. Lo sparo è isolato, non ne seguono altri, torna il silenzio.

Riprendo a camminare sotto una pioggia di aghi di larice, che danzano nell’aria sospinti da una dolce brezza. Un altro camoscio pasteggia qualche metro più in alto di me. I larici si diradano, eccomi alla Cà Bianca, le Levanne appaiono in tutto il loro splendore, con il canalone del Col Perdù illuminato dal sole. Mi concedo una pausa sui pascoli ingialliti, mi guardo intorno ma non vedo animali.

Anzi, sì. Alzando gli occhi al cielo, una coppia di aquile volteggia nell’azzurro, disegnando traiettorie circolari che si intrecciano, sfiorando le rocce e le cime dei larici. Libertà.

Saluto due anziani escursionisti, e riprendo la mia salita. Se esistesse un aggeggio per registrare “gli odori”… quello forte, pungente del larice lo adoro, d’autunno, forse perché cadono gli aghi, è ancora più forte… come vorrei portarmi a casa questi odori. Annuso la ruvida corteccia di uno di loro, respirando a pieni polmoni. Esco definitivamente dal bosco, rimangono solo sparuti laricetti contorti, e qualche vecchio ceppo sconfitto dal tempo. In lontananza scorgo altri camosci, poi guardo verso il colle, com’è diverso l’ambiente da quando sono stato qui l’ultima volta un sabato d’aprile, spazzolati dal vento e dal nevischio.

Seguo fedelmente la mulattiera, lascio sulla mia sinistra i ruderi dell’Alpe Ciaplus, due tornanti e mi aspetta l’ultimo tratto a mezzacosta che porta al colle Sià, 2274 m. Purtroppo alcune nubi nascondono il mio amato Grampy, giunto al colle sul lato opposto non appare il panorama che mi ero immaginato, pazienza. Sbucano dalle nebbie i Denti del Broglio, la Becca di Monciair, il Ciarforon… versante sud, praticamente privo di neve fino a 3600 m. Decido di proseguire ancora un po’ visto che mi sento bene e non sono stanco. Continuo sulla splendida mulattiera che taglia il versante, un fischio mi fa sobbalzare, guardo in basso, lui mi aveva visto ma io no… un camoscio fischia ancora e poi scappa nell’ombra.

Abbandono poi il sentiero, vago per un po’ senza meta tra rocce montonate e pascoli rinsecchiti, alcuni grandi massi sembrano stati sparpagliati qui da una grande mano, è molto bello questa specie di piccolo altopiano sospeso sul vallone di Ciamosseretto. Ora qui non c’è nessuno, cammino tra le baite dell’Alpe Loserai di sopra 2312 m, alcune in rovina, e le tracce di un mondo che anno dopo anno sta scomparendo. Salgo di qualche metro fino all’ultima baita, sopra tra le rocce noto che sono osservato… la chiara testa di un camoscio appare quasi mimetizzata tra la pietraia, mi scruta incuriosito (o impaurito?), io torno indietro, scegliendomi un bel praticello morbido dove pranzare. In lontananza vedo qualche escursionista, voci lontane, poi torna il silenzio, rotto solo dal venticello che a tratti mi intirizzisce.

Dopo un lauto pranzo a base di pane, formaggio, prosciutto e un sorso di vino valdostano, mi stendo, la pace è pressoché totale e presto mi addormento… mi risveglio perché una nube ha coperto il sole. Raccolgo le mie cose, scendo un po’, il sole ritorna, e mi spinge a fare un’altra lunga sosta. Tra le nebbie del vallone di Ciamosseretto appare il Roc 4026 m e poi il Grampa 4061 m… col binocolo riesco a vedere la Madonnina, le mando un saluto. Il tempo passa, in questa giornata dove le ore ed i minuti paiono dilatati. Sono le 3 del pomeriggio passate quando mi rimetto in cammino.

Decido di fare un giro alternativo, seguendo vecchi sentieri dimenticati. E ritrovo altri camosci...sapevo che ne avrei trovati qui, lontano dal sentiero principale…mi guardano dall’alto, controluce, risalgo anche io il dosso dove si trovano, poi proseguo a mezzacosta alto sul vallone, fino ad una dorsale erboso-detritica, protesa come la prua di una nave sulla valle dell’Orco. Non credo siano molti gli umani che passano di qui…non vedo tracce. Nel vallone sottostante vedo 15-20 camosci che, avendomi visto, si spostano velocemente verso ovest. Il lago di Ceresole brilla di riflessi, le Levanne giocano coi controluce.

Mi siedo qualche minuto ad ascoltare il silenzio.

Poi ridiscendo nell’ombra, per andare a riprendere il sentiero dell’andata. Incontro altri camosci, gli ultimi della giornata. Uno di loro, l’ultimo che mi passa davanti, è magro e pare emaciato. Infatti starnutisce di continuo. Povero animale, difficilmente passerà l’inverno. Lo guardo brucare sul filo di cresta, mentre i raggi del sole illuminano un rosso larice. E’ uno di quei momenti che, anche se scatti una foto, non renderà MAI come ammirarlo dal vivo. Saluto lui e i suoi compagni, e riprendo la mia discesa. Passo dopo passo seguo il sentiero, fino ad abbandonarlo per seguire una vecchia traccia che scende tra i larici. Una sosta ad una sorgente, ed esco in una radura, sul cui bordo, vicino ad un grazioso laghetto, sorgono vecchie baite.

Faccio merenda con pane e salame qui, la foschia si è inoltrata nella valle, e disegna i contorni delle montagne. Un puntino che brilla a destra del Colle Perduto forse è il rifugio Leonesi, piccolo nido d’aquila sulla valle. A malincuore riprendo la via di casa, pochi minuti e sono alla Cà Bianca. Indugio ancora nei dintorni, bighellonando tra le piante, prima di scendere. Qualche nube risale dalla bassa valle, strisciando contro i fianchi delle montagne. Scendo col sole in fronte, rientrando nel bosco.

No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.


Solo il suono dei miei passi mi accompagna, la coppia di escursionisti che è qualche centinaio di metri avanti a me scende anch’essa in silenzio. L’aria si rinfresca, l’ombra prende il sopravvento nella valle, i camini si accendono quando arrivo all’auto. Sono le 17.20. Anche questa giornata tra i monti volge al termine. Grazie. 



 

5 commenti:

  1. bravo bella passeggiata, non non hai visto la campana, forse non ce' piu'

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  2. l'utente anonimo ero io ilberte4026 non so' perche' non ha lasciato il nome e ha' messo utente anonimo

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  3. come forse non c'è più?


    col binocolo non riuscivo a vedere, un conto è la madonnina, un conto la campana del roc... in primavera dai, andiamo su con gli sci a controllare ;-)

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  4. quanto mi mancavano i tuoi racconti. un piccolo pezzo di sogno

    francesca

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