domenica 26 settembre 2010
venerdì 24 settembre 2010
Uja di Mondrone 2964 m, cresta dell'Ometto (AD)
Da qualche anno avevo in mente questa cresta (difficoltà AD), e da ben 14, da quando ho cominciato ad andare in montagna, volevo salire l'Uja di Mondrone, per noi "locals" semplicemente l'Uja. E’ detta il “Cervino delle valli di Lanzo”, per come appare dalla pianura, piramide isolata e aguzza e ben distinta.
E così, visto il tempo buono, con Elisabetta e Romano, i miei primi soci di gite, si decide di andare il week-end del 11 e 12 settembre.
Partiamo nel tardo pomeriggio di sabato da Molera 1478 m, in meno di due ore di buon sentiero siamo al bivacco Molino 2280 m, comodo e spazioso. Ci siamo caricati di litri di acqua, perchè lungo il percorso, vista la stagione avanzata, non ce n'era. Non fa freddo, e con calma prepariamo un'ottima cena a base di polenta e salsiccia, accompagnata dal mio solito vinello valdostano.
Nel frattempo arrivano altri due alpinisti, anch'essi diretti alla cresta dell'ometto l'indomani. Un sorso di genepy, poi, prima di andare a nanna, mi attardo fuori dal bivacco ad osservare le stelle, che sono miliardi, è ben visibile tutta la via lattea, e la luce siderale rischiara le valli quasi come ci fosse la luna.
La notte è tranquilla, vengo svegliato dai movimenti degli altri ospiti del bivacco, guardando fuori vedo che le valli sono coperte da un gran bel mare di nubi. L'alba, infatti, è spettacolare, su quel tappeto immobile di nuvole. Colazione, e verso le 7.35 lasciamo il bivacco. Le luci del primo sole colorano di rosa la bella parete Nord dell'Uja, dove corrono classiche vie alpinistiche, come la Rosenkrantz e la Dionisi.
In meno di un'ora siamo al passo dell'Ometto, sotto al quale pascolavano alcuni begli stambecchi. Al passo tira un'arietta frizzante, ci leghiamo e attacchiamo la cresta. Sono stati cancellati i bolli rossi che indicavano la via, che comunque in molti tratti è logica, solo in alcuni si perde un po' ed è facile infognarsi, specie in caso di scarsa visibilità. Per fortuna oggi non corriamo il rischio, il mare di nubi se ne stà in basso e questo venticello tiene pulita la montagna.
La prima parte di cresta è solo in parte "arrampicatoria", rocce rotte e qualche passaggio di II, mai troppo esposta. Salgo per ora con gli scarponi, ben tranquillo a metà corda tra Romano ed Elisabetta.. Dopo il primo salto ed un tratto orizzontale in cui si cammina, la cresta si raddrizza nuovamente, e si arriva al tratto più impegnativo. Visto che le ho portate pure io, mi metto le scarpette, ma senza calzini, e tolgo pure i guanti per avere più sensibilità. Si attraversa un canale piuttosto esposto, è uno dei tre tiri sucessivi che faremo in sicurezza, per il resto tutto il percorso di cresta si può fare in conserva, più o meno protetta.
Il traversino in effetti, su placca, è già "interessante". Poi si sale verticalmente su roccia magnifica e ben appigliata, quindi rocce rotte ed altri bei tratti di arrampicata divertentissima che non supera mai il III, anche nei tratti più verticali. Fa solo un po' freddo a salire scalzi, ma non ne posso fare a meno, visto che le scarpette con le calze era impossibile indossarle..
Si potrebbe salire tranquillamente in scarponi, ma visto che le avevo portate, tanto valeva metterle. La maggior parte della cresta è dietro di noi, qualche vecchio bollo al minio mezzo sbiadito indica la via qua e là, ormai vedo il sole che mi illumina il viso e capisco che siamo in vetta. La pendenza si abbatte di colpo, pochi passi sulla pietraia sommitale e siamo a suonare la campana della cima. Che soddisfazione! Il panorama è spettacolare, soprattutto sulle montagne delle mie valli, ed il mare di nubi da il tocco in più.
Rimaniamo in vetta una mezzoretta, poi c'è da affrontare la discesa per la via normale del versante sud, che non è per nulla banale. Il percorso, infatti, si snoda in un sistema di cenge, salti e canalini, e la moltitudine scriteriata di ometti e segni rossi può indurre in errori e in varianti più esposte e difficili. Il mare di nubi è salito di quota, ma rimane per fortuna ancora basso, la nebbia su questa discesa non sarebbe divertente. La concentrazione deve essere sempre al massimo, si disarrampica in molti tratti, e ovviamente senza assicurazione, visto che scendiamo ormai slegati. La discesa di 500 metri ci impiega quasi un'ora e mezza, alle 12.45 finalmente siamo fuori dai casini e possiamo rilassarci e pranzare.
Fa molto caldo, e quando riprendiamo la discesa ormai sono in pantaloni corti. Finalmente c'è il sentiero, e dal bivio dell'alpe le Piane in giù, questo diventa morbido e più piacevole. Alle 15.30 siamo a Molera, decisamente accaldati. Cambio di vestiario, e giù ad Ala di Stura per festeggiare, con un paio di toast ed una birrazza gelata questa spettacolare gita, un gran bel dentino tolto, per un altro week-end alpinistico di grande soddisfazione.
Ho "dormito" tutta l'estate, ma in zona Cesarini ho infilato due colpacci che sognavo da tempo...
foto: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/uja.htm
lunedì 20 settembre 2010
Allalinhorn 4027 m, Hohlaubgrat (cresta est, PD+/AD-)
Dopo una lunga pausa dall’alta montagna, e dopo le rigeneranti vacanze, ritorno a fare qualcosa di decente in quota.
La scelta cade sull’Allalinhorn, ma non dalla troppo affollata e breve via normale, bensì dalla bella e poco impegnativa cresta est, la Hohlaubgrat.
Dopo la serata di venerdì esageratamente alcolica, il sabato mattina io ed il socio Gp partiamo dal Canavese con comodo, e in poco più di 4 ore siamo a Saas Fee. Solito, famigliare parcheggio, evitiamo la salita a piedi (scopro poi che c’è un percorso che evita le zone delle piste, facendo il giro da Plattjen) con la funivia del Felskinn che comodamente ci porta a quota 2990. Da qui, per facile percorso prima su nevai e poi su immonde pietraie, raggiungiamo la Britanniahutte.
Veniamo “rapiti” dagli occhi azzurri della camerierina “Heidi” (soprannome che le abbiamo dato noi) quando chiediamo una birretta, che consumiamo fuori al sole, osservando lo Stralhorn ed il Rimpifshorn. Prima di cena c’è tempo di un pisolo.
A tavola notiamo che siamo gli unici due italiani di tutto il rifugio, poco male. Solita cena svizzera, ma non malvagia, acqua a volontà visto che me la sono portata da casa, ricordando i prezzi stellari dei rifugi svizzeri in merito. Dopo una notte relativamente tranquilla, sveglia l’indomani alle 4.30. Colazione, sempre a fatica, ed alle 5 siam pronti a partire. E’ buio pesto, le giornate si sono decisamente accorciate.
Alla luce delle frontali scendiamo per sentiero sulle morene, al buio è laborioso trovare la traccia, ma aiutandoci anche con le luci di chi precede, arriviamo al ghiacciaio, e sono già sudato come una capra. Ci leghiamo e partiamo. Il ghiacciaio è adesso scoperto da neve, non c’è traccia e mi oriento con le frontali di chi è avanti di 200 metri. Tra 3100 e 3200 c’è una zona assai tormentata, parzialmente innevata di fresco, con ponti di neve più o meno invitanti. La traccia ora è visibile, ma appare e scompare. Con qualche zig-zag superiamo questo che è il tratto più crepacciato della salita, puntando ad una traccia ben visibile, ma che poi scopro essere quella della “scorciatoia” di chi fa la Hohlaubgrat in giornata.
La traccia per percorrere il classico percorso di cresta è più a sinistra, per cui, con molta attenzione, noi ed altre cordate attraversiamo un bel lenzuolo completamente bianco e senza tracce per andarla a riprendere.. ora siamo sul giusto. La pendenza aumenta e siamo al colletto 3470 m dove comincia la Hohlaubgrat vera e propria. Tratti di sfasciumi precedono dossi di neve, e la cresta si fa via via più estetica. Dai 3700, dopo un ennesimo dosso ed una discesina, inizia la parte più impegnativa. Le rampe sono ripide, affiora anche del ghiaccio vivo, ma ci sono buone peste e facendo attenzione si sale bene.
La cresta si fa più affilata, ogni tanto c’è la terminale che infidamente appare e scompare, e così arriviamo alla base della breve fascia di roccia, la parte tecnicamente più impegnativa della salita. C’è un po’ di intasamento, nel mentre il sole si è nascosto dietro spesse velature, ma nell’attesa passano e ci scalda di nuovo. Davanti a noi ci sono due crucchi un po’ imbranati che ci impiegano parecchio tempo a superare la fascia rocciosa, poi tocca a noi.
Vado avanti io, assicurato dal socio, il primo passaggio è quello più impegnativo, di III-, ma una corda a mò di mancorrente aiuta nella spaccata. Mi piace sempre arrampicare coi ramponi su questi gradi facili, gli spit sono comodi per assicurarsi e rinviare mentre salgo. Arrivo al fittone di sosta, mi auto assicuro e recupero Gp. Quando mi raggiunge parto per il secondo tiro, questa volta di misto, e riprendo in mano la piccozza. Al secondo spit mi fermo perché ho finito la corda, e recupero di nuovo il socio. Ormai siamo fuori. Un ultimo passaggio di roccia e siamo sulla calotta sommitale. Pochi minuti di cresta orizzontale, mentre mi vien la pelle d’oca per il ritorno a quota 4000 e siamo in vetta!
Ovviamente è affollata di gente proveniente dalla normale, ma vien il turno di toccare la croce di vetta. Restiamo in cima una mezzoretta, ammirando il panorama spettacolare, poi è ora di scendere. La discesa per la normale è facile e senza pericoli, a parte l’attraversamento di un seracco/crepaccio poco prima di raggiungere le piste. Anzi, è più facile essere “investiti” da torme di sciatori impazziti.. in 50 minuti dalla vetta siamo già alla stazione del Metro Alpin. Ci sleghiamo e togliamo un po’ di indumenti, visto che sto crepando dal caldo, e saliamo “in carrozza”.
Velocemente siamo di nuovo al Felskinn, e da qui giù a Saas Fee. Raggiunto il parcheggio e cambiatici, poco dopo le 13 siamo seduti all’esterno di una vineria per un bel piatto di “kartoffensalad e arrosto di maiale”, accompagnati da un bicchiere di vino bianco fresco fresco, mentre in paese “impazza” una festa tradizionale e lassù, l’Allalinhorn, saluta il mio ritorno all’alpinismo.
Album fotografico: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/allalinhorn.htm
La scelta cade sull’Allalinhorn, ma non dalla troppo affollata e breve via normale, bensì dalla bella e poco impegnativa cresta est, la Hohlaubgrat.
Dopo la serata di venerdì esageratamente alcolica, il sabato mattina io ed il socio Gp partiamo dal Canavese con comodo, e in poco più di 4 ore siamo a Saas Fee. Solito, famigliare parcheggio, evitiamo la salita a piedi (scopro poi che c’è un percorso che evita le zone delle piste, facendo il giro da Plattjen) con la funivia del Felskinn che comodamente ci porta a quota 2990. Da qui, per facile percorso prima su nevai e poi su immonde pietraie, raggiungiamo la Britanniahutte.
Veniamo “rapiti” dagli occhi azzurri della camerierina “Heidi” (soprannome che le abbiamo dato noi) quando chiediamo una birretta, che consumiamo fuori al sole, osservando lo Stralhorn ed il Rimpifshorn. Prima di cena c’è tempo di un pisolo.
A tavola notiamo che siamo gli unici due italiani di tutto il rifugio, poco male. Solita cena svizzera, ma non malvagia, acqua a volontà visto che me la sono portata da casa, ricordando i prezzi stellari dei rifugi svizzeri in merito. Dopo una notte relativamente tranquilla, sveglia l’indomani alle 4.30. Colazione, sempre a fatica, ed alle 5 siam pronti a partire. E’ buio pesto, le giornate si sono decisamente accorciate.
Alla luce delle frontali scendiamo per sentiero sulle morene, al buio è laborioso trovare la traccia, ma aiutandoci anche con le luci di chi precede, arriviamo al ghiacciaio, e sono già sudato come una capra. Ci leghiamo e partiamo. Il ghiacciaio è adesso scoperto da neve, non c’è traccia e mi oriento con le frontali di chi è avanti di 200 metri. Tra 3100 e 3200 c’è una zona assai tormentata, parzialmente innevata di fresco, con ponti di neve più o meno invitanti. La traccia ora è visibile, ma appare e scompare. Con qualche zig-zag superiamo questo che è il tratto più crepacciato della salita, puntando ad una traccia ben visibile, ma che poi scopro essere quella della “scorciatoia” di chi fa la Hohlaubgrat in giornata.
La traccia per percorrere il classico percorso di cresta è più a sinistra, per cui, con molta attenzione, noi ed altre cordate attraversiamo un bel lenzuolo completamente bianco e senza tracce per andarla a riprendere.. ora siamo sul giusto. La pendenza aumenta e siamo al colletto 3470 m dove comincia la Hohlaubgrat vera e propria. Tratti di sfasciumi precedono dossi di neve, e la cresta si fa via via più estetica. Dai 3700, dopo un ennesimo dosso ed una discesina, inizia la parte più impegnativa. Le rampe sono ripide, affiora anche del ghiaccio vivo, ma ci sono buone peste e facendo attenzione si sale bene.
La cresta si fa più affilata, ogni tanto c’è la terminale che infidamente appare e scompare, e così arriviamo alla base della breve fascia di roccia, la parte tecnicamente più impegnativa della salita. C’è un po’ di intasamento, nel mentre il sole si è nascosto dietro spesse velature, ma nell’attesa passano e ci scalda di nuovo. Davanti a noi ci sono due crucchi un po’ imbranati che ci impiegano parecchio tempo a superare la fascia rocciosa, poi tocca a noi.
Vado avanti io, assicurato dal socio, il primo passaggio è quello più impegnativo, di III-, ma una corda a mò di mancorrente aiuta nella spaccata. Mi piace sempre arrampicare coi ramponi su questi gradi facili, gli spit sono comodi per assicurarsi e rinviare mentre salgo. Arrivo al fittone di sosta, mi auto assicuro e recupero Gp. Quando mi raggiunge parto per il secondo tiro, questa volta di misto, e riprendo in mano la piccozza. Al secondo spit mi fermo perché ho finito la corda, e recupero di nuovo il socio. Ormai siamo fuori. Un ultimo passaggio di roccia e siamo sulla calotta sommitale. Pochi minuti di cresta orizzontale, mentre mi vien la pelle d’oca per il ritorno a quota 4000 e siamo in vetta!
Ovviamente è affollata di gente proveniente dalla normale, ma vien il turno di toccare la croce di vetta. Restiamo in cima una mezzoretta, ammirando il panorama spettacolare, poi è ora di scendere. La discesa per la normale è facile e senza pericoli, a parte l’attraversamento di un seracco/crepaccio poco prima di raggiungere le piste. Anzi, è più facile essere “investiti” da torme di sciatori impazziti.. in 50 minuti dalla vetta siamo già alla stazione del Metro Alpin. Ci sleghiamo e togliamo un po’ di indumenti, visto che sto crepando dal caldo, e saliamo “in carrozza”.
Velocemente siamo di nuovo al Felskinn, e da qui giù a Saas Fee. Raggiunto il parcheggio e cambiatici, poco dopo le 13 siamo seduti all’esterno di una vineria per un bel piatto di “kartoffensalad e arrosto di maiale”, accompagnati da un bicchiere di vino bianco fresco fresco, mentre in paese “impazza” una festa tradizionale e lassù, l’Allalinhorn, saluta il mio ritorno all’alpinismo.
Album fotografico: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/allalinhorn.htm
sabato 18 settembre 2010
Sulle strade dell'est - parte sesta
18 agosto – mare verso Nord
Giornata di mare, anche se travagliata per la ricerca di una caletta, tra vecchie basi militari jugoslave, moli privati, scogli taglienti come lame.. ma alla fine troviamo il nostro posto. E la sera ci aspetterà una fantastica grigliata di pesce fresco, comprato alle 6.30 del mattino.. 5 kg di sarde e pesci tipo branzino, cucinati in modo egregio (parole dei commensali) dal sottoscritto.. e vinello bianco a volontà! Gran serata..
19 agosto – Grotta Manita Peć – Zadar
Siamo giunti all’ultimo giorno qui a Starigrad. Sfrutto il terzo ingresso per il parco per andare a visitare la grotta di Manita Pèc. Mentre altri vanno a fare una via lunga e qualcun altro solo a fare qualche monotiro, io ed altri andiamo su con calma. Alle 10 partiamo per raggiungere la grotta. Sono 500 m di dislivello, da percorrere nel canyon di Velika Paklenica. Finchè si sta all’ombra non fa eccessivamente caldo, ma appena si lascia il fondo del canyon e si comincia a salire, complice la vegetazione più rada, c’è letteralmente da schiattare di caldo.
Credo di non aver mai avuto così tanto caldo a camminare, e sono solo le 10 del mattino. La salita è davvero dura per il clima torrido, ogni tanto un po’ di brezza mitiga la fatica, regalando sensazione di fresco siccome siamo sudati marci.. arriviamo quindi finalmente all’ingresso della grotta, a 570 m di quota, preceduto da un belvedere sul selvaggio canyon.
La visita della grotta è piuttosto breve (20 min) e francamente non so se vale la pena vista la fatica fatta per salire fino a qui, ma l’interno, con una volta alta 70 metri e piena di stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni calcaree è molto bello, e soprattutto fa fresco…
Uscire è uno shock non da poco, si passa da 15° a 40° circa…ma presto, ahimè, ci si riabitua, ed avendo pure finito l’acqua, scendiamo molto velocemente, quasi di corsa. Raggiungiamo di nuovo l’ombra e quindi la fontanella, l’unica che abbiamo visto, nel parco, dove posso dissetarmi. Rientriamo in appartamento, dopo pranzo, nel tardo pomeriggio, partiamo per Zara, dove ci riuniremo la sera.
Alcuni vanno al mare, noi andiamo direttamente a Zara/Zadar. Parcheggiamo nei pressi del porto-canale. Entriamo nella parte vecchia della città, cinta dalle mura costruite dai Veneziani, e ne percorriamo sia la via principale che qualche vicolo caratteristico. Sinceramente non mi entusiasma, forse c’è troppa discontinuità tra vecchio e nuovo, mi era piaciuta molto di più Dubrovnik, probabilmente anche per le dimensioni più contenute della città.
Mentre il sole pian piano va giù ci portiamo sul molo dove sono stati costruiti un orologio solare, costituito da celle fotovoltaiche che lo fanno muovere, ed il famoso “organo marino” inaugurato nel 2005. E’ costituito da 35 canne di diversa lunghezza, dove l’acqua del mare, spinta dalle onde, entra e produce diversi tipi di suoni. E’ forse diventata l’attrazione principale di Zara, infatti qua c’è una quantità di gente incredibile..
Però è suggestivo con la luce del tardo pomeriggio, ci sono torme di ragazzine che si tuffano dal molo, e il quadretto, con il sole radente, è assai pittoresco.
Dal molo assistiamo ad un infuocato e splendido tramonto, mentre gli ultimi raggi indorano la chiesa di San Donato e la palla gialla del sole tramonta dietro le isole.
Verso le 20.30 siamo tutti riuniti, e si va per “l’ultima cena” in terra croata, rigorosamente a base di pesce… salutiamo Zara verso le 23, rientrando a Starigrad, il giorno dopo rientreremo in Italia.
20 agosto – Zadar – Rivarolo C.se
Lasciamo Starigrad alle 9.30 del mattino, dopo adeguata spesa di vini, e ci immettiamo in autostrada. La scelta di partire il venerdì è azzeccatissima, c’è poco traffico, troviamo solo un po’ di coda alla frontiera con la Slovenia.
Questa volta non ci fregano, e non prendiamo l’autostrada ma la statale. Ci fermeremo per un ottimo pranzo a Kozina, alla kostilna Manhic, che produce anche ottima birra artigianale. Quindi altri centinaia e centinaia di km di autostrada, da Trieste a Rivarolo, fino a casa, che raggiungo alle 21.
Che dire, 3500 km sono alle spalle. 11 giorni per le strade dell’est, tra paesi, genti, e culture diverse, undici giorni tra le montagne del Friuli, le distese di sassi della Croazia, le pareti di Paklenica, i boschi e i fiumi della Bosnia, le immagini indelebili di Sarajevo, il mare limpido della Dalmazia. Sicuramente è stata una bella vacanza, non solo di “divertimento” ma anche di accrescimento culturale, toccando quasi con mano la difficile storia di un paese che non c’è più se non nei vecchi libri di geografia, la ex-Juogoslavia.
Un sentito grazie ai compagni di viaggio & avventura, alla prossima!
“In un posto insolito, in un'ora insolita, anche il discorso diventa insolito, come in un sogno.”
Da I racconti di Sarajevo, di Ivo Andrić
Foto Manita Pèc: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/manita.htm
Foto Zara: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/zadar.htm
FINE REPORTAGE "SULLE STRADE DELL'EST"
mercoledì 15 settembre 2010
Sulle strade dell'est - parte quinta
15 agosto – Climbing in Velika Paklenica & Starigrad
Non sono venuto in Croazia solo per arrampicare, tuttavia mi parrebbe stupido venire qui e non andare a scalare almeno un paio di volte..così dopo una sveglia posticipata per via della pioggia (cominciamo bene..), io e Roby decidiamo di andare a vedere la famosa Velika Paklenica, paradiso dei climbers. Qua non ha piovuto e pur essendo nuvoloso c’è un caldo umido degno di Bangkok.
E’ Ferragosto, e sta affluendo molta gente nel Parco Nazionale di Paklenica. Arrampicatori, escursionisti, semplici turisti.
Il posto è molto bello, una gola stretta con alte pareti di calcare che ricordano un po’ il Verdon. Sfogliando la guida, vediamo tra i primi settori che troviamo, uno denominato “Figa”… si sprecano le battute, in realtà in croato “figa” vuol dire fico, il frutto…
Dopo una prima vietta di 3b giusto per capire la roccia, ci buttiamo su (lla) Figa, 4b+, ricevendo delle sonore bastonate… come accade per il calcare, i passaggi lo ungono e lo lisciano, cosicchè i passaggi più impegnativi presentano prese, appigli e appoggi levigati come il marmo, facendoci sudare freddo, e pure con un fastidioso pubblico sottostante..infatti le vie sono proprio ai margini della stradina principale che entra nel parco!
Le ore passano in fretta, tra bastonate più o meno sonore, nel frattempo arrivano gli altri nostri amici, ed esce il sole a surriscaldare l’ambiente. Scalare diventa impossibile, la roccia rovente, il caldo soffocante, e decido che per oggi basta! Mi siedo all’ombra e guardo gli altri, e soprattutto quelli che sanno arrampicare bene, e ci sono delle donne che lo fanno in maniera impeccabile ed elegante. C’è, nel movimento di chi sa scalare bene, una vera eleganza, una danza verticale.
Ci stupiscono poi dei gruppi di bambini e bambine, sui 10-12 anni, che scalano autonomamente, e vedere una bimbetta di 10 anni andare su da prima liscia liscia dove io ragionavo ogni passo, mi fa capire quanto sono pippa..
Verso le 14 decidiamo di ritirare le nostre stanche ossa da quel posto, pranzo con un gelato, e poi c’è chi va in cerca di un posto per fare il bagno, chi si rintana a dormire in appartamento, chi, come me, decide di andare in esplorazione nei dintorni di Starigrad. Vado verso il mare a fare due passi, e penso che può essere particolare, dopo aver passato la mattina a scalare, immergersi nel mare, cosa che prontamente faccio…
Mi rilasso una mezz’oretta, poi continuo la mia esplorazione, fino ad una graziosa chiesetta bianca dedicata a San Pietro, per poi ritornare lungo la Franje Tudmana Ulica alla nostra casa. Sono molte, nelle cittadine croate, le vie e i viali dedicati a Tudman, primo presidente della Repubblica Croata. Che, tuttavia, non è che è stato proprio un agnellino… quelli che han distrutto il Ponte di Mostar sono stati i croati…
La sera, tutti riuniti, festeggeremo il Ferragosto e la notizia che aspettavo da giorni, cioè l’esser diventato zio di una splendida bambina, con una grigliata accompagnata da buon vino croato, a conclusione di una giornata decisamente varia.
16 agosto – isola di Pag (Vlasiči)
Dopo la giornata mista di arrampicata/mare di Ferragosto, oggi lo si dedica solo al mare.. ci dirigiamo verso l’Isola di Pag, che si raggiunge attraversando un ponte spettacolare lungo 340 metri, sullo stesso stile di quello di Maslenica. Pag è un’isola di forma allungata, dall’aspetto molto brullo, ci sono solo sassi e qualche arbusto, pochissimi alberi, molte zone semi-deserte. Ci fermiamo a Vlasiči, un piccolo villaggio di mare, con relativa spiaggetta, in una delle tante insenature dell’isola. Giornata di mare e relax, ovviamente l’immobilità troppo duratura non fa per me, e così, nel pomeriggio, spinto da curiosità, col buon Mario, ci lanciamo nella “ascensione” di una montagnola quotata 72 metri sul livello del mare.. in infradito! Attraversiamo una zona acquitrinosa (dall’alto si vedrà come sia l’unica zona verde di tutto questo settore di isola), per imboccare un sentiero pietroso che sale, a mezzacosta, sulla pietrosa montagna. Fa molto caldo ma il venticello del mare mitiga la calura, arriviamo così in cima alla montagna, il panorama è spettacolare.
Dalle gole di Paklenica ai monti Velebit, al mare adriatico d’un blu profondo, alla brulla isola di Pag, fari, antenne e pale eoliche spuntano sulle dorsali pietrose dell’isola. Quassù è terreno da pecore, solo sassi, miliardi di sassi taglienti, cardi, arbusti spinosi, qualche pianta contorta dal vento. Salito fin quassù in infradito riuscirò anche a scenderne, senza distruggermi i piedi.. in mezz’ora siamo di nuovo alla spiaggia, ci si rilassa ancora un’oretta, poi quando il sole gira dietro la dorsale ed arriva l’ombra, decidiamo che è tempo di rientrare a Starigrad.
17 agosto - Climbing in Velika Paklenica – Devčići
Seconda giornata “arrampicatoria”. Questa volta ci alziamo tutti insieme, diretti alle gole di Paklenica. Fa più fresco dell’altro giorno..ci distribuiamo in vari settori, poi quando il sole arriva di nuovo sul lato sx ci spostiamo a destra, dove riceviamo le solite “bastonate”.. su un 4c sudatissimo e fisico, volo pure a metà tiro, non so come, con riflesso “felino” mentre precipito riesco ad “abbranchiare” saldamente con la mano destra una bella lama di roccia, come Stallone in Cliffhanger, evitando di scartavetrarmi contro la parete..dopo il volo, riprendo la salita, gli ultimi metri lisci, unti, con pochi micro appigli e appoggi mi fanno sudare e bestemmiare, ma alla fine arrivo in catena..mi dedico ancora ad un 5c da secondo, anche questo molto tecnico e fisico, per concludere con un 3b giusto perché il giorno prima mi incuriosiva e non lo avevo fatto.. facile, ma anche qui fino a 4 metri da terra nessuna protezione..della serie, se cadi, “cazzi tuoi!”
Viene ora di pranzo, e con essa il solito caldo atroce, per cui battiamo in ritirata, e salta fuori la proposta di andare a mangiare pesce.. ovviamente mi si invita a nozze, tempo di passare a casa e prendere costume e telo da mare, e via. Risaliamo la costa verso nord, e giunti a Devčići, ci fermiamo in un grazioso ristorantino con terrazzo sul mare.. libidine pura. Che meraviglia, al mattino a faticare sul calcare di Paklenica, ora qui a ricevere la giusta ricompensa. Un kg e mezzo di splendidi calamari grigliati, patatine e malvasjia dalmata, con l’arietta del mare che mitiga la calura.. e successivo bagno e relax. Questa è vita…..
Rimaniamo qui fino a tarda ora, poi rientriamo con uno stupendo tramonto sul mare, a conclusione di una delle più belle giornate delle vacanze.
Foto:
Free climbing in Velika Paklenica:
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/paklenica1.htm
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/paklenica2.htm
Scatti vari da Starigrad:
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/starigrad.htm
Isola di Pag:
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/pag.htm
Scatti vari da Devnici:
http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/devnici.htm
Fine quinta parte.
domenica 12 settembre 2010
Sulle strade dell'est - parte quarta
segue da: http://roby4061.splinder.com/post/23255573/sulle-strade-dellest-parte-terza
La strada scende tra pendii di pietre e sassi, dove non c’è nulla di nulla, e ci riappare il mare alla vista. Giungiamo sulla costa, fa caldissimo, superiamo Dubrovnik e in un paese poco distante troviamo posto in campeggio.
La sera ceniamo nella città vecchia con un ottimo piatto di cozze alla Bouzzara, quindi passeggiamo a lungo tra le vie discretamente affollate. Ritorneremo l’indomani mattina per visitare il resto con calma, oggi è stata una giornata di viaggio di nuovo abbastanza lunga.
14 agosto – Dubrovnik – Vgorac – Starigrad-Paklenica
Il mattino sveglia presto, smontaggio tenda e giù a Dubrovnik. La città vecchia, con i suoi due km di mura, è patrimonio dell’UNESCO. Detta anche la “Perla del mediterraneo”, è fatta di vecchie case, stretti vicoli, chiese, palazzi medievali. Manco a dirlo, nel 1991, successivamente alla dichiarazione d’indipendenza della Croazia dalla Repubblica Federale Jugoslava, la città fu messa sotto assedio dall’Esercito Popolare, dai Serbi e dai Montenegrini, che la bombardarono a lungo dalle montagne sovrastanti, incuranti del prezioso patrimonio storico che avevano sotto di loro. Un cartello all’ingresso delle mura ricorda quanti edifici furono colpiti durante il bombardamento del 6 dicembre 1991. Oggi i segni non si notano praticamente più, anche se la cattedrale presenta ancora qualche foro da scheggia. Il resto della città è completamente ricostruito e rinato, e ha ripreso i fasti di un tempo. Trascorriamo mezza mattinata qui, poi è di nuovo ora di mettersi in viaggio. Prendiamo la statale, con sosta pranzo nuovamente a Vrgorac (raznjici e ćevapćići) prima di tornare in autostrada. Usciamo a Maslenica, teatro di duri scontri nel 1993 tra l’esercito croato e le armate della Jugoslavia, lo spettacolare ponte ad arco infatti è stato ricostruito da qualche anno, era stato distrutto in circostanze poco chiare (si dice che sia stato fatto saltare dagli stessi croati, oppure che siano accidentalmente saltate delle mine posizionate negli anni 70 dalla JNA). Nel pomeriggio saremo a Starigrad-Paklenica, dove ci ricongiungiamo con gli altri gruppetti, partiti tutti in tempi differenti e provenienti da altre parti della Croazia, per la settimana “comunitaria” qui a Paklenica. Finisce così la prima parte itinerante della vacanza.
Foto su: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/dubrovnik.htm
lunedì 6 settembre 2010
"a quattromila metri l'aria ha un sapore particolare..ma bisogna guadagnarsela"
Parole del Grande Gaston Rebuffàt.
E ieri direi che me la sono guadagnata...
In vetta all'Allalinhorn 4027 m, salito per la Hohlaubgrat (cresta est), diff. PD+/AD-
Ritorno a quota quattromila dopo un anno di assenza e diversi mesi di "crisi mistica"
domenica 5 settembre 2010
Sulle strade dell'est - parte terza
13 agosto – Sarajevo – Republika Srpska – Dubrovnik
Alle quattro di mattina circa vengo svegliato dal canto di un muezzin…molto suggestivo, è il segnale dell’inizio delle ore di digiuno del Ramadan. Lì per lì non realizzo, capirò una volta sveglio che era un canto arabo quello che avevo sentito qualche ora prima nella notte.
Alle 7 ci alziamo, siamo pronti per una buona colazione, quindi lasciamo l’hotel. Scendiamo nuovamente in città, parcheggiando l’auto nei pressi del palazzo del Parlamento della Bosnia-Herzegovina, completamente ristrutturato (indelebile l’immagine dell’edificio in fiamme nell’aprile 1992 dopo la dichiarazione d’indipendenza) e ci dirigiamo verso il centro. Ripartiamo poi per la zona collinare, dove sorge il Kosèvo, lo stadio olimpico, che è tornato ad essere adibito a luogo di intrattenimento. Su una collina poco lontana, sorge il cimitero della città, diviso in settori (musulmano, cristiano cattolico, cristiano ortodosso, ebraico). Nei pressi dello stadio invece sorge un cimitero come tanti se ne trovano nei territori dell’ex-Jugoslavia. Le date parlano chiaro.. 92, 93 sono le date più frequenti. E a guardare le date di nascita (70/78 la maggior parte) si capisce il perché di una cosa che avevamo notato. A Sarajevo ho avuto l’impressione che manchi una generazione, la nostra. Risulta evidente anche passeggiando per le vie della città. Evidentemente ingoiata tra le fauci di una fottuta guerra, è una cosa abbastanza impressionante. E impressionante e deludente è constatare che l’uomo continua a non capire un cazzo (basta guardare un tg qualsiasi). Amarezza.
Mi raccolgo in un ideale silenzio e rispetto verso questi tutti questi morti, poi decidiamo che è meglio andare. Lascio Sarajevo comunque con una bella sensazione, quella che dà l’atmosfera di una città multiculturale che, dopo aver sofferto tanto, rinasce e si risolleva dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice, senza dimenticare però ciò che è stato, perché serva come monito a mantenere viva la memoria, perché mai più accada.
Ripartiamo alla volta di Ilidža, per poi seguire le indicazioni per Srbnjie. Lasciamo così Sarajevo, percorrendo la valle della Bistrica, molto selvaggia e verde. Molti boschi e foreste, villaggi, case abbandonate crivellate di colpi. E’ decisamente una zona poco turistica. Entriamo presto nella Republika Srpska (la repubblica dei Serbo-bosniaci.. quella di Karadzič e Mladič per intenderci), e cambia il clima.. da quello ospitale della Bosnia, qui l’aria che si respira è più “pesante”. I cartelli sono tutti in doppia lingua (bosniaco e cirillico), e molto spesso le bandiere serbe ricordano quanto siano nazionalisti da queste parti (in Croazia ho notato la stessa cosa..la bandiera è ovunque). Tuttavia ci fermiamo a mangiare in una trattoria lungo la strada (solito agnello..e birra SERBA, per rimanere in tema nazionalistico), tuttavia il personale è molto gentile.
Ripartiamo, per questa suggestiva strada tra le montagne, col fondo non sempre dei migliori. Passiamo a fianco al Monumento ai caduti di Sudjieska, carattestico ed inconfondibile memoriale di guerra di stampo sovietico. Infatti fu fatto costruire da Tito per commemorare gli oltre 3000 partigiani caduti nella guerra contro le forze dell’Asse.
Ci fermiamo a fare il pieno nell’unica pompa di benzina in cento km, per poi proseguire verso Gacko. Lo raggiungiamo per una strada infame, tutta curve in mezzo ai boschi prima, e per rocce aride dopo, con pecore, capre e mucche che pascolano invadendo la strada. Paesaggio decisamente agreste e fermo a qualche decina di anni fa. Gacko è situato all’estremità di un immenso pianoro,a quota 1000 metri, dove fa un caldo terribile (31°). C’è un paesaggio semi lunare, e la centrale termoelettrica (a carbone) da il tocco direi da grande pianura russa.
La polizia ci coglie in fallo..59.9 km/h contro un limite di 40, e ci fa paletta. Sull’auto la scritta è in cirillico, ma la multa è ridicola (per noi occidentali), cioè 23 euri. Il bello è che avevo appena detto a chi guidava di rallentare.. beh poteva andarci peggio, essendo tra i serbi.. sbagliamo pure strada e dobbiamo tornare indietro ripassando davanti alla polizia, percorrendo poi questo immenso altipiano, e tornando tra i boschi. Passiamo per Bileća ed il suo splendido lago. Non c’è che dire, paesaggisticamente queste zone sono molto belle. Giunti a Trebnjie le indicazioni sui cartelli stradali sono soltanto più in cirillico, e devo cercare di tradurli, con ciò che ricordo dell’alfabeto russo.. evitiamo di perderci, ritrovando poi finalmente le indicazioni per Dubrovnik. Superiamo senza problemi la frontiera tra Republika Srpska/Bosnia-Herzegovina e siamo di nuovo in Croazia.
Foto Sarajevo parte seconda: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/sarajevo_2.htm
Foto Republika Srpska: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/srpska.htm
Fine parte terza.
Alle quattro di mattina circa vengo svegliato dal canto di un muezzin…molto suggestivo, è il segnale dell’inizio delle ore di digiuno del Ramadan. Lì per lì non realizzo, capirò una volta sveglio che era un canto arabo quello che avevo sentito qualche ora prima nella notte.
Alle 7 ci alziamo, siamo pronti per una buona colazione, quindi lasciamo l’hotel. Scendiamo nuovamente in città, parcheggiando l’auto nei pressi del palazzo del Parlamento della Bosnia-Herzegovina, completamente ristrutturato (indelebile l’immagine dell’edificio in fiamme nell’aprile 1992 dopo la dichiarazione d’indipendenza) e ci dirigiamo verso il centro. Ripartiamo poi per la zona collinare, dove sorge il Kosèvo, lo stadio olimpico, che è tornato ad essere adibito a luogo di intrattenimento. Su una collina poco lontana, sorge il cimitero della città, diviso in settori (musulmano, cristiano cattolico, cristiano ortodosso, ebraico). Nei pressi dello stadio invece sorge un cimitero come tanti se ne trovano nei territori dell’ex-Jugoslavia. Le date parlano chiaro.. 92, 93 sono le date più frequenti. E a guardare le date di nascita (70/78 la maggior parte) si capisce il perché di una cosa che avevamo notato. A Sarajevo ho avuto l’impressione che manchi una generazione, la nostra. Risulta evidente anche passeggiando per le vie della città. Evidentemente ingoiata tra le fauci di una fottuta guerra, è una cosa abbastanza impressionante. E impressionante e deludente è constatare che l’uomo continua a non capire un cazzo (basta guardare un tg qualsiasi). Amarezza.
Mi raccolgo in un ideale silenzio e rispetto verso questi tutti questi morti, poi decidiamo che è meglio andare. Lascio Sarajevo comunque con una bella sensazione, quella che dà l’atmosfera di una città multiculturale che, dopo aver sofferto tanto, rinasce e si risolleva dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice, senza dimenticare però ciò che è stato, perché serva come monito a mantenere viva la memoria, perché mai più accada.
Ripartiamo alla volta di Ilidža, per poi seguire le indicazioni per Srbnjie. Lasciamo così Sarajevo, percorrendo la valle della Bistrica, molto selvaggia e verde. Molti boschi e foreste, villaggi, case abbandonate crivellate di colpi. E’ decisamente una zona poco turistica. Entriamo presto nella Republika Srpska (la repubblica dei Serbo-bosniaci.. quella di Karadzič e Mladič per intenderci), e cambia il clima.. da quello ospitale della Bosnia, qui l’aria che si respira è più “pesante”. I cartelli sono tutti in doppia lingua (bosniaco e cirillico), e molto spesso le bandiere serbe ricordano quanto siano nazionalisti da queste parti (in Croazia ho notato la stessa cosa..la bandiera è ovunque). Tuttavia ci fermiamo a mangiare in una trattoria lungo la strada (solito agnello..e birra SERBA, per rimanere in tema nazionalistico), tuttavia il personale è molto gentile.
Ripartiamo, per questa suggestiva strada tra le montagne, col fondo non sempre dei migliori. Passiamo a fianco al Monumento ai caduti di Sudjieska, carattestico ed inconfondibile memoriale di guerra di stampo sovietico. Infatti fu fatto costruire da Tito per commemorare gli oltre 3000 partigiani caduti nella guerra contro le forze dell’Asse.
Ci fermiamo a fare il pieno nell’unica pompa di benzina in cento km, per poi proseguire verso Gacko. Lo raggiungiamo per una strada infame, tutta curve in mezzo ai boschi prima, e per rocce aride dopo, con pecore, capre e mucche che pascolano invadendo la strada. Paesaggio decisamente agreste e fermo a qualche decina di anni fa. Gacko è situato all’estremità di un immenso pianoro,a quota 1000 metri, dove fa un caldo terribile (31°). C’è un paesaggio semi lunare, e la centrale termoelettrica (a carbone) da il tocco direi da grande pianura russa.
La polizia ci coglie in fallo..59.9 km/h contro un limite di 40, e ci fa paletta. Sull’auto la scritta è in cirillico, ma la multa è ridicola (per noi occidentali), cioè 23 euri. Il bello è che avevo appena detto a chi guidava di rallentare.. beh poteva andarci peggio, essendo tra i serbi.. sbagliamo pure strada e dobbiamo tornare indietro ripassando davanti alla polizia, percorrendo poi questo immenso altipiano, e tornando tra i boschi. Passiamo per Bileća ed il suo splendido lago. Non c’è che dire, paesaggisticamente queste zone sono molto belle. Giunti a Trebnjie le indicazioni sui cartelli stradali sono soltanto più in cirillico, e devo cercare di tradurli, con ciò che ricordo dell’alfabeto russo.. evitiamo di perderci, ritrovando poi finalmente le indicazioni per Dubrovnik. Superiamo senza problemi la frontiera tra Republika Srpska/Bosnia-Herzegovina e siamo di nuovo in Croazia.
Foto Sarajevo parte seconda: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/sarajevo_2.htm
Foto Republika Srpska: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/srpska.htm
Fine parte terza.
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