martedì 31 agosto 2010
Sulle strade dell'est - parte seconda
12 agosto – Vrgorac – Metkovič – Mostar – Sarajevo
Da queste parti il sole sorge presto, ed alle 6, pur essendo un paese piccolissimo, c’è già molto movimento. Ci svegliamo e dopo colazione partiamo alla volta della Bosnia, con l’intenzione di giungere a Sarajevo nel pomeriggio. La statale per Metkovič non è delle migliori, trafficata e con fondo non sempre bello. Ma è l’unica arteria stradale, l’autostrada è ancora in costruzione, con degli sbancamenti immensi (impatto ambientale mostruoso..) nella valle sottostante. Passiamo per qualche sperduto villaggio, quindi una zona paludosa (l’unica verde in decine e decine di km) e quindi l’importante centro di Metkovič. Superatolo, a poca distanza c’è la frontiera. Nessun problema ai controlli, e siamo così in Bosnia-Herzegovina.
Si nota subito.. la strada corre a fianco alla Neretva, splendido fiume dall’acqua verde smeraldo, e i villaggi presentano moschee e chiese ortodosse le une vicine alle altre. Cominciano ad apparire anche le prime case coi segni della guerra…e più ci avviciniamo a Mostar, e più sono evidenti. La periferia è ancora in buona parte da ricostruire. Ci dirigiamo verso il centro, parcheggiamo, e quindi ci incamminiamo verso lo Stari Most, il Ponte Vecchio, costruito dai turchi nel XVI secolo E’ bello vederlo di nuovo in piedi, e mi fa una certa emozione, perché ricordo benissimo le immagini dei TG di allora, il suo crollo sotto le cannonate dei Croati. Cedette alle granate il 9 novembre 1993, crollando nella Neretva. E’ stato ricostruito nel 2004, fedelmente all’originale (di cui sono presenti alcuni blocchi a bordo fiume). L’intera città vecchia è Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Passeggiando tra le vie di Mostar, mi colpisce subito il miscuglio di etnie, culture e religioni, cosa che avvertirò maggiormente a Sarajevo. Una ragazza musulmana col velo chiacchiera senza problemi con un’altra cattolica ortodossa, pacifica unione tra oriente e occidente….
E’ suggestivo camminare per queste strade, non mi mancano i brividi, vedendo le case coi segni dei proiettili e quelle ancora distrutte. E’ una città che sta ricominciando a vivere, dopo tanta sofferenza e tanta distruzione. Si respira un bel clima, sono pochi i turisti italiani (per fortuna..). I minareti si stagliano contro il cielo, mescolati a qualche chiesa ortodossa, sulla montagna che sovrasta la città si staglia un’enorme croce bianca.
Ci difendiamo dal caldo terribile con una birra in uno dei caratteristici locali, quindi ci rimettiamo in viaggio per Sarajevo. Seguiamo sempre la valle della Neretva, toccando un lago artificiale, e le cittadine di Jablanica e Konjic. A circa 40 km da Sarajevo ci fermiamo a pranzare in una caratteristica “trattoria” lungo la strada. E qui abbiamo il primo impatto con la gentilezza e dell’ospitalità dei bosniaci.
Un vassoio di agnello allo spiedo: è una caratteristica dei paesi slavi… è pieno di grill lungo le strade, con a seconda delle zone si vedono questi barbecue, a volte molto artigianali, dove girano o agnelli o maiali (non nella Bosnia musulmana, naturalmente). Ci viene offerto il dessert, un dolce tipico musulmano. Chiacchieriamo a lungo con la cameriera, che è stata in Italia per quasi vent’anni (è andata via a 10 anni da Sarajevo per via della guerra, ed è tornata lì solo da un mese), conoscendo qualcosa di più delle usanze e delle tradizioni della Bosnia. Ci dice che in Italia si è trovata bene, ma è tornata lì perché “casa è casa”.
Dopo pranzo ripartiamo alla volta di Sarajevo, sempre per questa strada tra le montagne, cosparse di villaggi e case distrutte e abbandonate. Appaiono sui cartelli stradali nomi di città come Goražde o Tužla, e vengo percorso dai brividi. Superiamo le famose località termali di Ilidža, ed entriamo in città per la Zmaja Od Bosna, la grande via di accesso a Sarajevo, durante la guerra tristemente nota come il “viale dei cecchini”.
Mi fa un certo effetto l’ingresso in città, molti dei palazzi popolari fatti costruire da Tito (inconfondibile lo stile socialista) recano i segni di proiettili e granate, molti fori sono stati tappati alla bell’e meglio. Il contrasto è con i palazzi ristrutturati, ricostruiti o i nuovi “grattacieli”, che sorgono a fianco di case sventrate. L’area della stazione ferroviaria è una di quelle che maggiormente presenta i segni della guerra. Dobbiamo prima di tutto cercarci una sistemazione, abbiamo qualche indirizzo, l’Holiday Inn, l’unico albergo funzionante durante l’assedio del 92-95 perché vi alloggiavano i giornalisti stranieri, è piuttosto caro (si fa per dire, perché 45 euro per un 4 stelle in una capitale di stato da noi sarebbero impossibili..)
Troviamo poi l’hotel (Italia..)che fa al caso nostro, nel quartiere Polafiči, nella zona collinare della città. Personale cortese, gentile, prezzi veramente ridicoli (20 euri a testa) pensando che siamo comunque in una capitale e struttura ben tenuta e piacevole. Scendiamo quindi in città, parcheggiando lungo il corso del fiume Miljacka. Entriamo nel cuore pulsante della città, cioè Sarači, tra vicoli stretti, bazar e botteghe di artigiani dai colori e sapori mediorientali. E’ proprio questo che mi colpisce e mi lascia il ricordo migliore di questa città, questa mescolanza tra oriente e occidente. Ragazze col velo passeggiano insieme a ragazze vestite all’ultima moda occidentale (tutte bellissime tra l’altro.. le ragazze di Sarajevo sono quasi tutte splendide). E mi chiedo e penso quanto siano assurdi gli integralismi religiosi che vorrebbero impedire questa fusione di culture.
Passiamo a fianco della Moschea di Gazi Husrev-Beg. Oggi inizia il Ramadan ed è l’ora della preghiera, il canto dell’Imam è decisamente suggestivo. Sul muro della moschea c’è una fontanella dalla quale sgorga acqua freschissima. Ecco un’altra caratteristica di Sarajevo sono le fontane con l’acqua ottima. Proseguiamo poi per la via centrale, la Ferhadjia, che porta nella piazza dei Piccioni, con la bella cattedrale ortodossa del Sacro Cuore. Poco distante c’è la piazza “ufficiosamente” dedicata a Izetbegovič, il “nonno” della Bosnia. Il nome ufficiale però è “della Liberazione”, in ricordo della guerra partigiana contro i nazi-fascisti.
Qui ci sono anziani che giocano a scacchi con delle caratteristiche e grandi pedine, poco distante si trovano la facoltà di economia, una chiesa ortodossa serba, recentemente ristrutturata, e il monumento all’”uomo multiculturale” che “ricostruirà il mondo”. E’ proprio questa mescolanza di moschee, chiese ortodosse, chiese cattoliche, sinagoghe, le une vicine alle altre, che fa di questa città la “Gerusalemme dell’Est”. Proseguiamo nella visita, percorrendo il viale Maršala Ttita (Maresciallo Tito), dove si trova la Fiamma Eterna, in memoria dei caduti di tutte le guerre. Proseguiamo fino al ponte di Skenderjia, dove si trova il palazzetto del ghiaccio utilizzato durante le olimpiadi invernali del 1984. Sono ancora molti i segni in città di quell’evento, e c’è la volontà di recuperare quella memoria e di ristrutturare gli impianti (anche la pista da bob e i trampolini del salto, sul monte Trebević) seriamente danneggiati dalla guerra.
Costeggiamo nuovamente il fiume di Sarajevo, la Miljacka, passando a fianco del Ponte Latino, dove, il 28 giugno 1914 uno studente serbo, Gavrilo Prinčip, assassinò l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando. Fu la scintilla che scatenò la Prima Guerra Mondiale, è forse da allora che questa regione si è presa l’appellativo di “polveriera balcanica”…
Si è fatto tardi, rientriamo in hotel, giusto per una doccia e una sistemata, e poi siamo pronti a ritornare in città per cena. Questa volta prendiamo un taxi, economicissimo, e in pochi minuti siamo in centro. Un semplice kebab (ma completamente diverso da quelli che si mangiano in Italia) e siamo a posto, perché siamo ancora appesantiti dal pranzo.
Le viuzze della città vecchia sono caratteristiche anche di sera, ed è quasi d’obbligo una sosta in un caffè turco, per sorseggiare, con calma, un caffè………………..turco, naturalmente.
Ci attardiamo a lungo tra le vie ancora pulsanti di vita, capitando quasi per caso al Markale, il luogo della spaventosa strage del 5 febbraio 94 quando una granata serba cadde sul mercato coperto causando 67 morti. Una lapide ricorda la tragedia, e mi si gela il sangue, perché le immagini di quell’evento rimasero impresse nella mia mente di adolescente, e le ricordo ancora oggi distintamente. Follia umana, continuo a chiedermi come fosse possibile, e sembra così lontano, nel vedere ora questa città che “apparentemente” convive senza problemi nella sua multiculturalità.
Con un altro taxi (anch’esso con musiche orientali di sottofondo), rientriamo in hotel che è quasi mezzanotte, l’indomani ci aspetta un viaggio abbastanza lungo.
Foto Mostar: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/mostar.htm
Foto Sarajevo (1): http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/sarajevo_1.htm
Fine seconda parte.
lunedì 30 agosto 2010
Underground
Un film surreale di Emir Kusturica, regista serbo nato a Sarajevo.
Una tragicommedia che ripercorre, con momenti surreali, attimi di commedia e parentesi drammatiche la complessa storia dell'ex-Jugoslavia dal 1941 al 1995, attraverso le vicende di due amici.
Finale surreale, con l'unico protagonista rimasto in vita, il Nero, che ritrova l'amico e un mondo che non c'è più, sulle rive del Danubio.. mentre si stacca un pezzetto di terra a forma di Jugoslavia, che va alla deriva.
Allegoria di un paese che non c'era più. Il tutto condito con le musiche dell'eclettico Goran Bregović.
Da vedere.
venerdì 27 agosto 2010
Sulle strade dell'est - parte prima
SULLE STRADE DELL’EST
10-20 agosto 2010
Non è facile riordinare le idee e le foto dopo 11 giorni e 3500 km per le strade dell’est. E’ stato un viaggio molto bello, ricco di cultura e spunti di riflessione, oltre allo spirito “vacanziero” classico. Da Erto a Redipuglia, da Mostar a Sarajevo, da Dubronik a Zara sono molte le cose da raccontare, anche perché era da molto tempo che volevo visitare questi luoghi.
Il ricordo più bello rimane legato all’ospitalità dei Bosniaci, alla bellezza dei paesaggi della Bosnia, alle città di Mostar e Sarajevo, con evidentissimi ancora i segni dell’assurda guerra terminata poi soltanto 15 anni fa, ma ricche di vita. E’ stata piacevole la sensazione di camminare in una città che sta rinascendo dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice.
Ma andiamo con ordine, partendo dal primo giorno, martedi 10 agosto.
10 agosto – Rivarolo C.se – Longarone – Diga del Vajont – Erto – Casso – Barcis
Sveglia ore 3. Senza fare colazione mi dirigo a Rivarolo, dove ci troviamo per caricare l’auto. Alle 3.50 partiamo alla volta dell’Est. Non c’è traffico, alle 8 siamo già a Longarone. Breve visita al memoriale della tragedia dell’ottobre ‘63. Il paese è completamente ricostruito, la chiesa, interamente in cemento armato, è forse la più brutta che ho mai visto. Al solito, quando si ricostruisce, si dimentica l’architettura del luogo per costruire degli obbrobri che non stanno né in cielo né in terra. Bah.
Saliamo quindi verso Erto, da Longarone la diga del Vajont è “beffardamente” al suo posto, resistette infatti all’onda. Parcheggiamo nei pressi della diga, per la visita guidata. Dal 2007 è possibile percorrere il coronamento della struttura, là dove c’era la strada di servizio spazzata via dall’onda. Certo che è impressionante, la frana sul Toc, con il suo caratteristico profilo ad M è una presenza opprimente, il resto della montagna è nel mezzo della valle, là dove c’era il lago. La storia del Vajont, ormai, grazie allo spettacolo commovente di Paolini del ’97 ed ai libri di Mauro Corona è ben conosciuta. Rimane l’interrogativo di come si siano potuti ignorare i segnali che la montagna dava.. potere del dio denaro, ancora una volta macchiato di sangue. Ricordo il libro della Merlin, le sue indagini, ostacolate da più parti… ma del resto scriveva per l’Unità…
Rimane impressionante anche solo pensare ad una quantità tale di roccia e terra che cade in un lago a 90 km/orari.. l’onda che scavalca la diga, che si incanala nella strettissima gola del Vajont, per poi esplodere all’uscita del canyon, di fronte a Longarone, e cancellare in un attimo duemila vite.
Dopo la diga saliamo a Casso e poi Erto vecchia. Molto, negli stretti vicoli dei due paesi, è rimasto come allora. Case diroccate, porte e finestre sprangate, sono due paesi mezzi morti. All’ingresso di Erto c’è un traliccio piegato dall’onda e rimasto lì così com’è da quasi 50 anni. C’è una certa atmosfera di decadenza, anche se qualche giovane è tornato ad abitare la Erto vecchia e qualche timido segnale di rinascita c’è. Saliamo ad Erto nuova, e davanti alla bottega di Mauro Corona, appare lui in persona, ma non è della giornata e dell’umore adatto per fare conversazione. Peccato, sarà per un’altra volta.
Nel primo pomeriggio il tempo peggiora notevolmente, tuona dalla val Cimoliana. Percorriamo tutta la strada che fa il giro del “lago”, a tratti sterrata e con diverse gallerie. E’ in parte la strada originale degli anni sessanta che circondava il bacino artificiale. Dopo scendiamo a Barcis, dove faremo sosta per la notte in campeggio. Nel pomeriggio tuona e piove, la sera ci troviamo con degli amici per bere qualcosa ed un saluto, prima di andare a nanna, la giornata è stata pesante e l’indomani ci aspetta un lungo viaggio.
Foto su: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/vajont.htm
11 agosto – Barcis – Redipuglia – Vgorac
Altra sveglia mattiniera, oggi di chilometri ne abbiamo da macinare. Cercheremo di spingerci più in fondo possibile alla Croazia. Da Barcis percorriamo la valle piena di impianti idroelettrici (infatti il Vajont era la summa del reticolo idroelettrico della zona), giungendo a Maniago e quindi a Pordenone, dove ci immettiamo in autostrada. Ne usciamo a Redipuglia, per visitare il Sacrario Militare. E’ mattino presto, non c’è praticamente nessuno, e l’atmosfera è abbastanza inquietante.
Saliamo lungo le immense gradinate, migliaia di nomi indicano i caduti delle undici grandi battaglie sull’Isonzo, Prima Guerra Mondiale. Tra i nomi trovo un Maruzzo Angelo, nome tra l’altro molto comune nella mia famiglia.. potrebbe essere un lontano parente…indagherò. Proseguiamo fin sulla sommità della collina e del sacrario, dove una Cappella racchiude i resti di trentamila (TRENTAMILA!!!) militi ignoti. Cioè trentamila soldati, trentamila persone di cui non si sa il nome. Assurdo. A ragione quella guerra venne definita dal papa dell’epoca come “assurdo macello”.
Nei dintorni del Sacrario vi sono una planimetria in rilievo con le posizioni del fronte nel 1916, e diversi cannoni e monumenti ai vari corpi dell’esercito che presero parte alle battaglie. Questo Sacrario fu fatto costruire dal Duce nel Ventennio, ed infatti lo stile è inconfondibile. Una beffa, tra l’altro, visto che fu terminato nel 1938, giusto in tempo per cominciare un’altra guerra mondiale…e preparare il terreno per altri sacrari.
Bah.
Ripercorriamo le gradinate in discesa, sotto il sole che ora picchia forte, ed è ora di rimettersi in viaggio, direzione est e poi sud-est. A Trieste superiamo la frontiera con la Slovenia, non ci sono indicazioni chiare sulla “vignetta autostradale” (ho visto solo di sfuggita un cartello scritto a pennarello di 40x50 cm con scritto sopra “vignetta qui”), quando i miei amici erano stati due anni fa c’erano i normali caselli.. infatti è una novità del luglio 2009.
Quando usciamo dall’autostrada per prendere la statale, ecco la polizia che ci ferma appena usciti dal casello.. un bel foglietto con lo spiegone in italiano e 300 euro di multa. Che si riducono a 150 se si paga subito.. maledetti sloveni. Il poliziotto ammette che la cosa non è ben segnalata. Si stanno italianizzando, e studiano i modi per inculare gli stranieri…
Bah. Ormai la frittata è fatta.. entriamo in statale ancora schiumando di nervoso, ce lo faremo passare fermandoci in una gostilna (trattoria) in territorio sloveno, prima di passare il confine.
Almeno sul cibo e sulla birra gli sloveni ci trattano bene..ripartiamo, siamo in breve alla frontiera e senza problemi entriamo in territorio croato. Passata Rupa, entriamo poi in autostrada. E ne percorriamo centinaia di km, con paesaggio decisamente monotono e brullo. L’autostrada, penso la più grande opera pubblica della Croazia degli ultimi 40 anni, passa lontano dalla costa, in un territorio dove non c’è assolutamente nulla. Prima boschi, poi colline di pietre e arbusti, con pochissimi villaggi, quasi nessuna strada, qualche casupola diroccata. Il nulla più totale, secco e arido per molte decine di chilometri. Mi ha molto colpito questa cosa. L’autostrada finisce poco prima di Vrgorac, che raggiungiamo per una statale tutta curve, sospesa su una valle. Vista l’ora tarda e i circa 700 km percorsi, decidiamo di fermarci in un piccolo ma moderno hotel lungo la statale. Proseguendo si troverebbe il bivio per il santuario mariano di Međugorje, che si trova a meno di 30 km in territorio bosniaco.
Ceneremo in un piccolo ristorantino (Ristoran TIN, nome assurdo..), con degli ottimi raznjici e una splendida birra fresca. Il primo impatto con la cucina croata è decisamente positivo. Andiamo a dormire decisamente stanchi.
Foto su: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/redipuglia.htm
Fine prima parte.
domenica 22 agosto 2010
Nostalgia Balkanika
Ed eccomi tornato, dopo 3500 km per le strade dell'est. Molto ho visto e molto ho da raccontare di questo viaggio. Dalla diga del Vajont e dai paesi ancora feriti da quella tragedia, Erto, Casso e Longarone, al sacrario militare di Redipuglia, monito e simbolo di quell'assurdo macello che fu la Prima Guerra Mondiale.
Dalla Croazia interna, coi suoi paesaggi brulli e i suoi villaggi, alla Bosnia-Herzegovina, con la perla di Mostar ed il suo ricostruito Ponte Vecchio e la città di Sarajevo, dove sono ancora evidenti i segni di quel massacro che furono le laceranti guerre degli anni 90, che portarono alla sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia.
Dal paesaggio rurale della Republika Srpska, cioè "l'enclave" serba di Bosnia, alla città di Dubrovnik, la perla del Mediterraneo. Dal grigio calcare del Parco di Paklenica, al brullo terreno dell'isola di Pag, alla moderna Zadar.
Ne ho viste di cose in questi 3500 km, ma credo che il ricordo più bello di questo viaggio resterà legato all'ospitalità ed alla gentilezza dei Bosniaci, al profumo dei bazar di Sarajevo, al miscuglio di culture e religioni di questa città che ha sofferto il più duro e lungo assedio della storia moderna, nel 1992-1995.
Ancora oggi, in città e nei dintorni, sono visibili i segni di un'assurda mattanza che ha segnato la mia adolescenza, un terribile inferno nel cuore di un'Europa impotente. Ma la bella sensazione che mi è rimasta di Sarajevo è quella di una città in rinascita, sta tornando a vivere dopo l'oblio, rinasce dalle proprie ceneri come l'Araba Fenice.
Su queste pagine, mano mano, racconterò questo viaggio nell'est per parole e foto.
Lungo la via di accesso principale a Sarajevo arrivando da Mostar, la Zmaja Od Bosna, ai tempi della guerra tristemente conosciuta come il "Viale dei Cecchini", un palazzo che reca ancora i segni dei proiettili.
lunedì 9 agosto 2010
Est! Est!! Est!!!
L'est chiama. C'è sempre qualcosa di affascinante nelle terre dell'est Europa, sarà il mix di culture, l'incontro tra occidente ed oriente, la fusione di stili di vita e mondi diversi.. ma è di nuovo ora di spingersi là dove sorge il sole.
Ready to go. Direzione est.