Reduce dal mio viaggio attraverso parte della ex-Jugoslavia nell’agosto scorso, ho cercato di approfondire le vicende storiche delle guerre che hanno martoriato le regioni balcaniche negli anni novanta.
Tra i libri che mi sono procurato c’era anche questo, che ho appena terminato di leggere. E’una lunga intervista a Jovan Divjak, il generale di origini serbe che difese la “sua” Sarajevo dall’aggressione dei serbo-bosniaci di Karadzic e Mladic.. serbo che combatte contro i serbi, il libro-intervista è interessante per capire cosa significò vivere a Sarajevo durante gli anni dell’assedio, per capire su quali basi diplomatiche, forse ancora troppo fragili, si regge la Bosnia-Herzegovina di oggi, per comprendere quanto è ancora lungo il cammino per una “normalità” in quella regione.
Dal sito dell’editore (infinito edizioni) riporto:
«Vivo da 40 anni nello stesso quartiere, a Sarajevo, a due passi da un’antica chiesa ortodossa e da una moschea del XVI secolo. E salendo appena, da casa mia, raggiungo il seminario cattolico. Prima della guerra, quest’armonia, nata dalla differenza, si ritrovava nella vita d’ogni giorno… Sarajevo m’ha aperto gli occhi. Ero stupito nel vedere una città così ricca di grandi qualità umane, soprattutto la tolleranza e la generosità».
La guerra, le figure fosche di Milosevic, Karadzic e Mladic, ma anche le contraddizioni e i voltafaccia della componente musulmana durante la guerra e i nazionalismi sorti dalla devastazione bellica sono rivelati e spiegati in un libro carico di pathos destinato a finire tra i grandi volumi di storia.
In questo libro, il militare serbo che difese Sarajevo, che ha “adottato” un nipote musulmano (foto di copertina) e ha fondato la più grande associazione nazionale per aiutare gli orfani di guerra, racconta le bombe, le tribolazioni dei civili, i doppi giochi dei politici bosniaci e della comunità internazionale, la miseria e il desiderio di una pace che in Bosnia non è ancora davvero arrivata.
«Che vuoi che ti dica, compagno Divjak. L’unica cosa che ci resta è l’amore per questa straordinaria terra e per questa città unica al mondo che tu hai difeso con onore e che continui a onorare occupandoti degli orfani di guerra. Posso dirti che ti ringrazio per quello che hai fatto e che fai, ignorando i briganti oggi al potere. Dirti che amo ancora quel luogo come se l’avessi lasciato ieri. Ci torno, e il tempo è come se non fosse passato. Per me è tutto come allora, quando vidi Sarajevo la prima volta sotto la Luna, sotto le ultime nevi dell’Igman»(dall’introduzione di Paolo Rumiz).
Sarajevo, mon amour vi farà commuovere e vi affascinerà, come solo i grandi libri sanno fare.
Nessun commento:
Posta un commento