giovedì 28 ottobre 2010
Tra i mille colori dell'autunno, Aiguille Rouge 2545 m, val Clarèe (FR)
I lunghi singhiozzi dei violini d'autunno feriscono il mio cuore d'un monotono languore.
(Paul Verlaine)
E’ il tempo dell’autunno, delle lunghe passeggiate tra i lariceti dorati, tra i laghetti col primo ghiaccio, i pendii bruciati dal gelo e infarinati dalla prima neve.
A volte si cerca fortuna meteorologica oltre confine, e la si trova. Sabato 23 ottobre siamo in 5 a varcare la frontiera del Monginevro, diretti nella val Clarèe, una delle valli dall’aspetto dolomitico/carsico delle Alpi Occidentali. La scelta della gita cade sul col di Thures, aperto sulla Valle Stretta, orograficamente appartenente all’Italia, ma passata alla Francia dopo la IIa guerra mondiale.
A Sallè, prima di Nevache, prendiamo una stradicciola sterrata che conduce nel vallone del Thures, parcheggiando a circa 1650 m. Siamo nel territorio della Foresta demaniale della Clarèe. L’autunno sfodera qui il suo lato migliore con il caleidoscopio di colori. Ci incamminiamo per la strada sterrata, che abbandoniamo poi per la mulattiera che sale al colle, passando attraverso un bel bosco di pini e larici dorati, con caratteristiche guglie detritiche (come la slanciata Demoiselle). Arriviamo così all’inizio dello splendido altopiano che conduce al Col di Thures, nei pressi di una dolina perfetta.
I calanchi, le doline, le rocce calcaree sono caratteristiche dei queste valli dagli aspetti carsici, piuttosto rari nelle Alpi Occidentali. Vista l’ora ed il tempo che è migliore del previsto, decidiamo di salire alla Guglia Rossa, (Aiguille Rouge). Un bel sentiero, invitante, si innalza a mezzacosta in direzione della cima. Lo risaliamo, su ghiaia cedevole, fino ad intercettare il GR 57, che piega in direzione sud fino a portarsi sulla cresta della montagna.
Risaliamo così la cresta sud, con percorso molto panoramico, fino ad un colletto, dal quale, con qualche risvolta, raggiungiamo la vetta a 2545 m. Il panorama è ampio, sulle montagne del Delfinato dai colori autunnali, verso i colossi del Pelvoux, della Meje, della Barre des Ecrins. Il clima è gradevole, si sta bene, i colori autunnali riscaldano l’animo, e qualche pensiero corre verso valle, trasportato dal vento dell’ovest.
Il tempo passa in fretta, tra un pezzo di formaggio stagionato ed un sorso di vino, e tante chiacchiere tra amici, e viene ora di scendere. Dalla vetta ho visto un sentierino abbastanza marcato sulla parte inferiore della cresta nord, e decidiamo di effettuare la traversata. Scendiamo per l’itinerario di andata per un centinaio di metri, poi, al di sotto dei salti rocciosi, intercettiamo un sentiero “da capre” ma molto ben segnato, che taglia il versante ovest della montagna, portandosi sulla cresta nord.
Il percorso è molto suggestivo, tra caratteristiche guglie rocciose, l’aspetto della montagna è un misto tra le dolomiti e le montagne della Turchia o dell’Afghanistan (viste solo in foto, naturalmente..), i colori autunnali dei pascoli bruciati dal gelo e dei larici, fanno il resto.
Il lato est della cresta precipita in canyon detritici, oscuri e tetri, ma di mille colori, dal grigio, al bianco, al giallo, al rosso a seconda dei minerali che si ossidano al contatto con l’aria, che affondano nella valle Stretta, il cui lato opposto parte con immensi ghiaioni che terminano alla base di guglie rocciose che ricordano le Tofane. Paesaggi dell’est riportati all’ovest. Qualche camoscio, là in basso su un fazzoletto di pascolo sospeso sulla valle, ci guarda incuriosito.
In perfetta solitudine (solo noi 5 abbiamo percorso questa traversata) continuiamo la discesa per la cresta nord, fino all’altezza del colle di Thures, che raggiungiamo scendendo per ampi pascoli. Nei pressi del colle c’è il Lac Chavillon, ormai quasi completamente gelato, al bordo dell’altopiano e vicino al bosco di larici dorati dall’autunno.
Che pace, che meraviglia di posto. Il sole ritorna, dopo essersi nascosto dietro le nubi, ed inonda di luce questo luogo magico. Capisco quanto adoro l’autunno tra i monti, è la stagione che preferisco per i colori e per i silenzi che tornano a popolare le montagne.
Ripartiamo, percorrendo tutto questo splendido altopiano di pascoli, silenzioso e malinconico, fino a raggiungere l’Alpage des Thures, ormai “abbandonato” al termine della stagione, situato sul bordo in disfacimento dell’altopiano… immensi calanchi, infatti, precipitano verso il vallone che abbiamo percorso in salita. Il destino di questo altopiano sarà quello di franare pian piano verso valle.. ma ci vorranno ancora migliaia di anni, per questo.
Ci re immergiamo nel lariceto, tra le ultime fiammate di sole, scendendo presto nell’ombra e nel fresco del vallone, raggiungendo l’auto dopo le 17.
Ritorneremo a casa passando dal colle della Scala e scendendo a Bardonecchia, giusto per accorciare il rientro.
Foto su: http://www.roby4061.it/2005/photobook/2010/aiguille_rouge.htm
mercoledì 13 ottobre 2010
13 ottobre 2000
sono già passati dieci anni.
Realizzai un reportage sul disastro, ancora on line sul mio sito:
www.roby4061.it/2005/alluvione2000/alluvione2000.htm
Riporto le righe che scrissi allora, finita l'emergenza..
QUALCHE RIFLESSIONE SULL'ALLUVIONE DEL 13-16 OTTOBRE 2000
Forse questa sarà l'ultima volta, forse invece ce ne saranno sempre di più..Certo è che quest'alluvione non la dimenticherò tanto presto, certe immagini mi rimarranno impresse nella mente per sempre.
Sono scene degne di un'apocalisse quelle che si presentano a chi percorra queste valli devastate, ferite, calpestate da una forza immane, spaventosa, mai vista.
Mi ricorderò il caldo insolito e il forte vento da sud nel mattino di sabato 14 ottobre, lo spaventoso rumore della Stura, che aveva già cominciato la sua opera di distruzione.
Mi ricorderò le vie di Balangero invase dall' acqua limacciosa, i campi attorno al Banna completamente allagati, la montagna che si muoveva e rilasciava centinaia di piccole frane..
Mi ricorderò le notizie su internet che lanciavano segnali di catastrofi nelle valli dell'Orco e d'Aosta, mentre la pioggia continuava a cadere incessante e fino ai 3000mt, sciogliendo tutta la neve della settimana precedente.
Porterò con me le immagini di una valle Orco innevata, in un dolce aspetto invernale , pronta ad essere cullata nell'inverno, inconsapevole di quello che stava per accadere.
Ricorderò di aver percorso per l'ultima volta quella valle il 7 ottobre, perché ora non esiste più. Ecco, non potrò dimenticare che questo disastro ha colpito valli che conoscevo, a cui ero legato, di cui ricordo ancora scorci suggestivi che adesso non ci sono più, cancellati, spazzati via da metri di ghiaia, fango, acqua..
Ricorderò le sirene dei mezzi di soccorso tra il forte rumore del torrente e la pioggia che cadeva senza sosta..
Ricorderò le fiamme che avvolgevano il ponte di Robassomero
Ricorderò il ponte di Villanova aggredito da un torrente impetuoso, impazzito, che cercava di riprendersi con forza quello che era suo cinquant'anni prima. Ricorderò che dopo quattro giorni passati come volontario di Protezione Civile avevo perso la cognizione del tempo, mi sentivo stanco, ma orgoglioso di far parte di tutti quei volontari che a diverso titolo erano impegnati fuori casa...
Mi ricorderò i giorni dopo, quando l'acqua scendeva e i torrenti ritornavano nei loro letti ormai modificati, la geografia delle valli stravolta.
Mi ricorderò della sensazione provata il lunedì, quando attraversando il martoriato ponte dell'acquedotto a Lanzo, sopra un torrente ancora gonfio, venivo investito da un'aria gelida carica di pioggia, che ti sferzava la faccia e pensavo se questo disastro avrebbe mai avuto fine…
Ma oltre a tutto questo non dimenticherò l'attimo in cui i primi raggi di sole, dopo giorni di pioggia e distruzione, tornavano a illuminare una terra desolata, martoriata e ferita, valli che non esistono praticamente più: mi ricorderò di quel sole che tornava a dare speranza, a scaldare queste valli in ginocchio ma pronte a risorgere, con il forte spirito della gente pronta a ricominciare, ad aiutare queste montagne a tornare a vivere…
Torino, 23-10-2000
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